di Elena Fausta Gadeschi
Dopo anni di sconvolgimenti del mercato del lavoro, segnato dal fenomeno della Great Resignation, l’ondata di dimissioni volontarie post-Covid che ha spinto tante aziende a concedere maggiore flessibilità oraria e migliori condizioni contrattuali per trattenere i talenti, adesso il turnover è tornato ai livelli pre-pandemia e per i dirigenti è un grosso problema. Lo segnala il Wall Street Journal, che riporta l’esempio di Bank of America e della multinazionale svizzera di biofarmaci Ferring Pharmaceuticals, che nel 2023 hanno registrato un netto calo delle dimissioni. Un cambio di passo inaspettato e repentino che ha colto di sorpresa i Ceo e che pone nuove sfide alle imprese, passate dall’inseguire i propri dipendenti con proposte di lavoro sempre più interessanti a chiedere ai propri team di posticipare i progetti o tagliare il personale in esubero con l’avvicinarsi della fine dell’anno, nel timore di sforare il budget.
A ottobre le dimissioni in Usa sono rallentate
Succede in Usa, dove il tasso di disoccupazione è al 3,9%, quasi ai minimi storici, ma a ottobre le assunzioni sono rallentate bruscamente al punto che sono state la metà di quelle di settembre, secondo il Dipartimento del Lavoro. «Il livello di attrito (una metrica utilizzata per misurare il numero di dipendenti persi e non sostituiti in un determinato periodo, ndr) sta scendendo, questo è certo – spiega al WSJ Denis Machuel, amministratore delegato del Gruppo Adecco –. La gente sente che probabilmente fuori “fa un po’ freddo”, la situazione macroeconomica non è così buona. E con questo schema tipico “last-in, first-out”, è più probabile che [i dipendenti] rimangano nel loro ruolo attuale».
Le motivazioni dei lavoratori
Molti lavoratori mostrano un ritrovato impegno nei confronti dei loro attuali datori di lavoro. Quest’anno, il 73% dei lavoratori ha dichiarato di voler rimanere al proprio posto, rispetto al 61% dell’anno scorso, secondo un sondaggio pubblicato a ottobre da Adecco Usa. Da una parte chi voleva cambiare azienda, magari mettendosi in proprio e dando una svolta alla carriera, l’ha già fatto, realizzando quello che gli esperti di recruiting definiscono Great Reshuffle, un grande rimpasto all’interno del mercato del lavoro. Dall’altra, chi non è andato in cerca di un nuovo posto prima, adesso è frenato dall’incertezza del presente o forse è semplicemente soddisfatto. Secondo un sondaggio annuale pubblicato a maggio dal Conference Board, nel 2022 il 62,3% dei lavoratori si è dichiarato soddisfatto, rispetto al 60,2% del 2021. Si tratta del livello più alto registrato dall’inizio dell’indagine nel 1987, trainato da politiche del lavoro sempre più flessibili – non a caso sono propri i lavoratori ibridi ad avere riportato il tasso di maggiore soddisfazione.
A che punto siamo in Italia
Questo «rimpasto» ha caratterizzato anche il mercato del lavoro in Italia, dove «le Grandi dimissioni sono state la conseguenza del grande raffreddamento durante i due anni di Covid», spiega Marco Leonardi, Associate professor of Economics alla London School of Economics. «Il mercato del lavoro ha un tasso naturale di ricambio, che ogni anno si aggira attorno al 10%. Nel 2020 e nel 2021 questa percentuale si è più che dimezzata, anche per via degli ammortizzatori sociali come la cassa integrazione, al punto che nel 2022 si sono ritrovate a spostarsi diverse centinaia di migliaia di persone: un rimbalzo quantitativo in reazione a quanto non era accaduto in precedenza e che ormai si sta esaurendo. La vera discontinuità è stata a livello qualitativo: la pandemia ha portato ad un cambio di percezione soprattutto per coloro che potevano lavorare da casa, creando una forte disuguaglianza. I cambiamenti verso una migliore conciliazione vita-lavoro hanno riguardato infatti impiegati e professionisti con livelli occupazionali più alti, mentre spesso chi aveva salari più bassi come operai o cassieri non ha potuto approfittarne per ragioni logistiche».
Nuove opportunità per i giovani
Ora che questa corsa è finita e il fenomeno del rimbalzo si è esaurito, «si tornerà ad una situazione pre-Covid, ma con una differenza per l’Italia» sottolinea Leonardi. «La crescita del Pil è rallentata, ma l’occupazione continua a essere in crescita e su questo pesa il cambio di percezione della demografia: i giovani non si trovano, sono sempre meno e sono sempre più preziosi – non è un caso che i disoccupati aumentino soprattutto nelle fasce anziane della popolazione. Ecco perché le aziende, dopo avere molto faticato a trovare personale nel 2022, si guarderanno bene per il prossimo anno di lasciare andare le risorse reclutate, anche a fronte di un calo del Pil. Preferiranno tenerle in vista di una futura ripresa dell’economia. Per i giovani questo è il momento di approfittarne».