Sempre più private equity nelle aziende familiari. E sempre più famiglie consocie del private equity. Quello che un tempo era un rapporto di cautela se non di diffidenza sta diventando un matrimonio di interessi con vantaggi per tutti e reciproci interessi e connessioni. È questa la nuova lente di ingrandimento che consente di leggere un processo in crescita e di nuove prospettive come emerge in una ricerca di Aifi (l’Associazione del private equity), Università Liuc e Fondo italiano di investimento (Ministero Economia, Cdp e banche).
I grandi numeri danno una idea del fenomeno: il mondo delle aziende familiari (85% di tutte le imprese italiane) conta su un fatturato di 260 miliardi di euro; negli ultimi dieci anni i fondi di private equity hanno investito in Italia 91,3 miliardi di euro. Con un trend in forte crescita: le operazioni di private equity (grafici in basso) sono passate da una media di 73 all’anno (tra il 2013 e il 2017) a 184 all’anno (tra il 2018 e il 2022). In tutto 1,285 operazioni, per più della metà negli anni più recenti. Ma non è solo una questione di quantità. Come spiega Innocenzo Cipolletta, presidente di Aifi, le famiglie che aprono il capitale ai fondi di investimento rimangono sempre più coinvolte nell’azionariato e nella governance dell’azienda. Questa formula, che rappresentava il 19,6% del totale delle operazioni di private equity una decina di anni fa sono diventate la maggioranza dal 2022, quando erano al 50%. Non solo. Spesso il ricavato della cessione di quote di capitale di imprese familiari ai fondi vengono in parte investite direttamente o attraverso i sempre più diffusi family office. Che a loro volta investono in pool in fondi o in operazioni di private equity. Chiudendo così un circuito che si auto-alimenta e crea sviluppo e consolida le relazioni tra i due mondi.
Insomma, un rapporto sempre più stretto e strategico proiettato nel medio-lungo termine con vantaggi per vecchi e nuovi azionisti. Ed è proprio in questa prospettiva che diventa cruciale la scelta del fondo di private equity cui aprire il capitale, come sostiene Salvatore Sciascia, docente alla Liuc e co-direttore di Fabula, il family business lab dell’università di Castellanza: al di là dei valori economici in gioco, con l’arrivo di capitali e manager si costruisce una nuova governance che può consentire di gestire meglio l’intreccio tra ruoli familiari e logiche aziendali.
Nella foto in alto, Innocenzo Cipolletta, presidente Aifi