di Daniela Fabbri
Esselunga è un pezzo di storia italiana. La storia di un Paese che cresce scoprendo un’abbondanza fino a quel momento neppure immaginata, che si trasforma facendo diventare la spesa settimanale con il carrello un rito di famiglia, che cambia gusti e abitudini alimentari, che sperimenta sapori internazionali. E che, raggiunto un certo livello di benessere, assegna al cibo anche un valore culturale e sociale, virando verso prodotti sempre più naturali e biologici. Per noi abitanti delle regioni del Nord, lombardi soprattutto, Esselunga è stata il simbolo e lo strumento di questa trasformazione, quel punto fermo che abbiamo sempre cercato, senza trovarlo, nei viaggi o nelle vacanze a sud della Toscana. Anche per questo immergersi nella lettura di “Le ossa dei Caprotti. Una storia italiana” (Feltrinelli), il libro che Giuseppe Caprotti ha dedicato a Esselunga e alla sua famiglia, potrebbe sembrare come entrare in un luogo che ci ha visti crescere.
Il libro in realtà è molto di più. È il tentativo, puntigliosamente circostanziato, di ricostruire la storia di un grande successo imprenditoriale costruito sulle macerie di una famiglia. La sintesi di tutto quello che non si dovrebbe fare nella costruzione e nella gestione di un’impresa moderna, soprattutto se di matrice familiare. È il modo, certamente doloroso e sofferto, di dare voce alle motivazione e alle emozioni di chi nella lotta familiare è uscito perdente e di ribaltare una narrazione dominante che raramente si è presa la briga di indagare o anche solo di cercare di capire le dinamiche e i loro effetti.
L’autore
Giuseppe Caprotti è il figlio primogenito di Bernardo, l’uomo la cui immagine è associata alla creazione e al successo di Esselunga. Per tutti, il “signor Esselunga”. Giuseppe è il figlio che tenta inizialmente di sottrarsi all’impegno in azienda (consapevole da sempre delle difficoltà di relazione con il padre), che si laurea in storia e non in business. Ma che da quando mette piede nel mondo di Esselunga ne rimane affascinato, vi si getta anima e corpo per modernizzarla, migliorarla, renderla più competitiva e vicina alle esigenze di un clientela che nel frattempo sta cambiando. Quello che colpisce è la sua passione, il suo profondo attaccamento a questo mondo, il dolore che lo accompagnerà per anni dopo che sarà stato messo alla porta dal padre e, in seguito, di fatto estromesso dalla proprietà con il testamento.
Nel libro le dinamiche familiari si intrecciano indissolubilmente con quelle delle imprese, il cotonificio in Brianza prima e i supermercati dopo. Il nonno che muore in un incidente d’auto con al fianco l’amante; la giovanissima madre Giorgina schiacciata dallo strapotere della suocera e del marito, che legge di nascosto il Dottor Zivago e cerca di difendersi dalle continue liti, pagando con la cacciata di casa e l’allontanamento dai figli la colpa di essersi innamorata di un altro uomo, “di sinistra” per di più. Le liti violenti di Bernardo con la madre Marianne, soprattutto quando lei scoprirà che il 10% della Manifattura Caprotti lasciatole in eredità dal marito è stato azzerato senza neppure informarla, e che non avrà indietro praticamente nulla del suo patrimonio personale, investito per permettere ai figli di acquistare il controllo di Esselunga da Rockfeller. L’allontanamento dei fratelli Guido e Claudio dall’azienda, con modalità discutibili e motivazioni collegate più a dinamiche emozionali che a contrasti di strategia o comportamenti scorretti.
Una storia costellata di liti
Giuseppe ricostruisce puntigliosamente e con molta documentazione una storia famigliare costellata da liti, gelosie, contenziosi giudiziari, denunce fatte e ritirate, pedinamenti e atti vandalici che proseguono per anni, stratagemmi di vario tipo escogitati da Bernardo per estromettere progressivamente dall’azienda sia i figli Giuseppe e Violetta che molti dei collaboratori della prima ora. Alcuni licenziati con una messa in scena quasi teatrale davanti ai colleghi, fatti salire su Mercedes nere che si allontanano dagli uffici in modo da servire da monito a tutti gli altri. Racconta di dirigenti che letteralmente prendono a calci i collaboratori, di un responsabile della sicurezza che gira per gli uffici mettendo in mostra una pistola, di una situazione di terrore alimentata dallo stesso Bernardo. Ma anche di errori strategici dovuti alla mancanza di comunicazione, di una catena di comando volutamente opaca per impedire di individuare precise responsabilità. Di una struttura che, inizialmente, reagisce con estrema diffidenza ai tentativi di innovazione di Giuseppe e Violetta, ma che poi li assimila consentendo a Esselunga di arrivare a livelli di redditività assolutamente invidiabili.
Forse troppo invidiabili per Bernardo, che non riesce a condividere i successi con il figlio e che quando lo allontanerà dall’azienda troverà il modo di dirgli che pensava che si sarebbe sparato.
Grande distribuzione moderna
Con grande onestà intellettuale Giuseppe Caprotti ammette i suoi errori ma rivendica anche i risultati raggiunti; spiega con passione la sua visione di una grande distribuzione moderna ed efficiente, l’intuizione dell’e-commerce molto prima dell’avvento di Amazon e ritardato di anni per l’avversità di Bernardo nei confronti delle nuove tecnologie.
Quella che ne esce alla fine è la storia di un grande successo imprenditoriale, di un impero costruito con intuito e sagacia, che però ha lasciato troppe vittime sul suo percorso. Che ha distrutto legami familiari, creato tensioni insostenibili, alimentato violenze se non fisiche sicuramente psicologiche e morali. E che forse poteva trovare un’altra modalità di sviluppo, se si fosse trovato il modo di scindere le dinamiche familiari da quelle aziendali.
Sicuramente una guida estremamente utile a tutti gli errori che non si devono fare nella gestione di un’impresa familiare.