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Bertelli, il legame con Arezzo e il saper pensare l’azienda oltre se stessi

News, Storie
Pubblicato il 30 Mag alle 20:07

di Maria Silvia Sacchi

“Reminiscenze di quando ero un ragazzo”, le definisce Patrizio Bertelli. Di quando, tutte le mattine, mentre andava al liceo, quello che sarebbe diventato uno dei più importanti imprenditori italiani passava davanti al Caffè dei Costanti che sta a poca distanza da piazza Vasari dove Bertelli è nato e, allora, viveva.

Insomma, ricordi.

Sono stati quegli avanti e indietro casa-scuola-casa, gli appuntamenti con gli amici dati al bar-pasticceria più importante della città, l’abitudine di considerare quel locale parte integrante del centro a spingere Bertelli a comprare l’attività che, dopo il Covid, correva il rischio di restare chiusa per sempre. Lo stesso è stato per la Buca di San Francesco, storico ristorante cittadino. E, ancora, per l’edicola di San Jacopo, altro pilastro della città.

Investimenti fatti da Bertelli a titolo personale: da un aretino per Arezzo.

Si parte da qui, da quel legame particolare che unisce un imprenditore alla sua città, per parlare di aziende di famiglia dopo che Arezzo ha ospitato l’edizione 2025 di Family Business Forum.

La città toscana ha una percentuale molto alta di aziende familiari, quasi il 90% di tutte le imprese presenti sul territorio, e sono state costituite tra i 50 e i 25 anni fa. Ma, in generale, il grosso dell’industria italiana è nata nel dopoguerra.

“Come imprenditoria, siamo un Paese giovane – dice Patrizio Bertelli -. Le nostre imprese si sono formate a cavallo delle due guerre, con l’agricoltura, le imprese vinicole, le dolciarie. Pensiamo, per esempio, a Ferrero, per fare un nome. Abbiamo, poi, un’attitudine a essere bravi in tutto ciò che è manuale; oltre, naturalmente, al bello, un’eredità che ci deriva dal Rinascimento. Se uno chiude gli occhi per un momento e pensaa quanti artisti, scrittori, filosofi eranopresenti a Firenze contemporaneamente… La bellezza e la capacità di essere bravi in tutto ciò chefacciamo sono nell’animo, nel dna, degliitaliani. Ora bisogna impegnarsi a trasmettere tutto questo ai giovani”.

Nell’industria è difficile trovare artigiani.

“Un grosso tema. Per questo le imprese, tutte le imprese, devono impegnarsi a inserire giovani in azienda e a fare in modo che ci sia chi insegna loro il mestiere nel modo giusto. Se si sa trasmettere il sapere, i giovani siappassionano”.

Da azienda familiare quotata e che ha già deciso la sua successione, che consiglio si può dare alle altre aziende familiari?

“L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di proiettare l’azienda in un tempo molto più lungo di sé stessi. Spesso si sente dire ‘lavoro fino a 60 anni, poi smetto. I miei figli faranno chi l’architetto, chi il medico, chi l’avvocato’. Darsi una data – non di chiusura, ma di completamento della propria attività – è il grande limite delle imprese. Se invece si cerca di immaginare che l’azienda duri oltre il proprio tempo, allora, automaticamente, nasce anche la domanda di come quell’azienda può rimanere in piedi e con quali risorse. È una decisione che si riflette anche nell’atmosfera interna all’impresa: si sa che andrà avanti. Per me questo è il punto principale, il vero cambiamento”.

Quando si parla di aziende familiari si parla della difficoltà del passaggio generazionale. In Prada avete già deciso, sarà suo figlio Lorenzo. Com’è stato decidere? Quanto ha inciso il fatto di essere quotati?

“Essere quotati è un bell’esercizio soprattutto per la gestione, per il fatto di pensare che hai qualcuno che guarda sempre i conti, che guarda come ti comporti, cosa dici. Invece che un limite, lo vedo come uno stimolo”.

L’essere quotati vi ha aiutato anche nel definire il vostro passaggio generazionale?

“Sì, certo, molto. La quotazione è un grande aiuto, soprattutto nei momenti in cui si devono prendere certe decisioni”.

C’è stata una ipotesi di quotare Prada anche a Milano, dopo Hong Kong. Succederà?

“No, non ha senso. Ora, poi, con la situazione internazionale che stiamo vivendo… Finché non ci metteremo a fare l’Europa saranno guai. Bisogna arrivare alla fine dell’anno per capire cosa succede davvero sui dazi. Si dovrà sicuramente trovare una via d’uscita, non possono lasciare questa incertezza dilagante che sta nuocendo al mercato. Le persone non sono diventate più povere o meno desiderose di spendere, ma sono diventate più prudenti. In tutto, non solo nei consumi ma anche nei viaggi, per esempio. È uno stato di disagio che non va bene e soprattutto è gratuito perché non è che è stata trovata una soluzione a un qualche problema”.

Torniamo un momento ad Arezzo. Il Caffè Costanti non è ancora aperto. Come mai?

“È un impegno per il quale serve una gestione familiare e che sappia fare una pasticceria di alto livello, com’era prima. Non facile. Della Buca si occupa un gruppo di collaboratori che sono con me da molti anni, è un grande sacrificio perché son tutti del Valdarno dove siamo noi con l’azienda e tutti i giorni devono fare molti chilometri in macchina. Ma lo fanno con passione. E forse adesso abbiamo trovato una soluzione definitiva anche per il Caffè dei Costanti, per poterlo aprire, per non lasciarlo chiuso”.

In questi mesi Prada è parecchio sotto i riflettori per via dell’acquisizione di Versace. Un’operazione che, se da una parte gli analisti hanno faticato a comprendere, dall’altra, quella delle persone comuni, è stata invece vissuta come una sorta di riscatto dopo le moltissime acquisizioni di marchi da parte di gruppi stranieri. C’è stato un certo “tifo” in favore di Prada, quasi che l’Italia avesse vinto qualche campionato. L’avete sentito?

“L’abbiamo sentito benissimo. Sì, l’abbiamo proprio sentito molto”.

(Questo articolo è stato pubblicato su Il Sole 24 Ore il giorno 30 maggio)

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