di Daniela Fabbri
Una mappa per orientarsi nel tema del momento: quell’intelligenza artificiale che sembra avere potenzialità rivoluzionarie e illimitate, ma che dev’essere maneggiata con cura se si vuole che diventi un vantaggio competitivo. È questo che Imanuel Baharier, managing partner di Money Management e docente di Business Analytics all’Università Cattolica di Milano, proverà a fornire ai partecipanti al workshop “Governare l’intelligenza artificiale”.
«L’intelligenza artificiale è un mare magnum, ma il workshop si focalizzerà su due aspetti. Proverò a disegnare una mappa per fare capire innanzi tutto qual è la destinazione finale di questo viaggio. Oggi di Ai si parla molto, ma in modo episodico e frammentario rispetto a qualche soluzione. Invece cercheremo di capire in che modo l’applicazione dell’intelligenza artificiale all’interno dei processi cambia concretamente il modo di fare business, in che misura è effettivamente trasformativa e cosa succede quando ho davvero sviluppato tutto il potenziale trasformativo che contiene, in modo trasversale ai vari settori. Per scoprire che non ci sarà un cambiamento incrementale, ma discreto rispetto alla situazione attuale».
E il secondo aspetto?
«Definito qual è il punto di arrivo, come ci arriviamo? Perché affrontando questo percorso in maniera non strutturata molto spesso si ottiene poco, o addirittura dei valori negativi. Per cui parleremo di quello che ricade sotto la definizione di data strategy e Ai strategy, e quindi di come faccio a far sì che l’applicazione dell’Ai sia davvero trasformativa per la mia azienda rispetto alla situazione odierna. Considerando i valori positivi e quelli negativi, le opportunità e le minacce per la cyber security che bisogna sempre considerare. Insomma, proporremo una fotografia per mostrare quale sarà il punto di arrivo del processo e una mappa per orientarsi in una selva di informazioni, che rischiano di fuorviare se non si ha una struttura interpretativa forte».
A che punto è l’evoluzione delle aziende italiane rispetto a questi temi?
«Dipende molto dal settore: il mondo bancario, per esempio, si è mosso molto, e in parte anche il mondo industriale. Anche la geografia ha il suo peso, perché nel complesso in Italia siamo abbastanza indietro: i modelli su cui si costruisce l’intelligenza artificiale generativa non hanno nessuna base italiana. Però invece le applicazioni sì, e questo è un aspetto positivo. Ma dipende anche da che tipo di AI stiamo considerando: conosciamo quella generativa del chatgpt, ma ci sono Ai legate al machine learning o alla computer vision in parte sviluppate in Italia, che sono molto più mature e si utilizzano. La generativa, che è la rivoluzione del momento, è ancora agli albori e si sta cominciando a capirne l’enorme potenzialità. Rimane il rischio che ho già citato: limitarsi a una visione frammentaria senza costruire un quadro di insieme che ci faccia capire dove arriveremo con questi nuovi strumenti».