di Giuliano Foglia*
La notizia è divenuta ufficiale ormai due mesi fa: dall’aprile 2025, il Regno Unito dirà addio (gradualmente) al regime fiscale agevolativo per i cosiddetti “res-non-dom” (resident not domiciled) in vigore addirittura dal 1799. La novità non può che essere guardata con interesse dal nostro Paese, dal momento che, dal 2017, è in vigore un regime fiscale agevolativo per i neo-residenti, in ragione del quale coloro che negli ultimi dieci anni non sono stati fiscalmente residenti nel territorio dello Stato possono optare – trasferendovisi – per una tassazione forfetaria sui redditi di fonte estera pari a 100.000 euro all’anno, per un periodo massimo di 15 anni.
Evidentemente, la platea di soggetti potenzialmente interessati è quella dei cosiddetti High Net Worh Individuals (Hnwi) o, come spesso appellati in Italia, dei “paperoni”: persone fisiche con un ingente patrimonio individuale, che possono essere interessati a migrare scegliendo il nuovo place to live non solo sulla base dei gusti e delle attitudini personali e lavorative, ma anche – e soprattutto – del regime fiscale pronto ad accoglierli.
Inoltre, i benefici non sono limitati alla tassazione forfetaria sui redditi esteri (i redditi di fonte Italiana restano assoggettati all’Irpef ordinariamente determinata), ma si estendono anche all’esonero dagli adempimenti dichiarativi relativi al monitoraggio fiscale (la compilazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi) e dal pagamento delle imposte sulle attività finanziarie e sugli immobili posseduti all’estero (IVIE e IVAFE), alla possibilità di estendere il regime anche ai familiari, previo versamento di una “mini flat-tax” di 25.000 euro annui cadauno, nonché all’esenzione dall’imposta di donazione e successione (la cui disciplina domestica è già di per sé molto attrattiva se paragonata agli altri Paesi) su tutti i beni e i diritti degli aderenti esistenti fuori dai confini nazionali (ivi incluse le somme di danaro depositate su conti esteri, come recentemente chiarito dall’Agenzia delle Entrate).
È allora evidente come la decisione assunta oltremanica non possa che essere abbracciata favorevolmente al di qua delle Alpi, a maggior ragione se si pensa che la notizia segue alla Brexit, che ha sancito, nei fatti dal 2021, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Se, infatti, successivamente alla stessa, molte società multinazionali, fondi d’investimento e player industriali hanno ripensato la loro geografia trovando casa altrove, la decisione di abolire il regime dei “res-non-dom” dall’anno prossimo verosimilmente porterà investitori, azionisti e top manager a riconsiderare anche le geografie individuali e trasferirsi in altre giurisdizioni.
E l’Italia si colloca certamente in cima alla lista dei Paesi europei potenzialmente in grado di attrarre i “paperoni”. Già da anni Milano ha consolidato il proprio ruolo di centro cosmopolita e nevralgico nel mondo dei capitali, degli investimenti e del business in generale, attraendo gli head-quarter di numerosissime realtà internazionali. Ora, potrebbe essere la svolta definitiva anche per i privati.
Si ricorderà che il regime introdotto nel 2017 dal governo Renzi fu salutato da più di qualche polemica, perché consentiva un sostanzioso sconto sulla fiscalità di redditi che altrimenti, secondo il principio di tassazione su base mondiale, sarebbero stati tassati ordinariamente, contribuendo maggiormente alle casse dello Stato.
La critica incontra evidentemente due limiti. Il primo, nella facile assunzione che, in assenza di un regime fiscale attrattivo, molti Hnwi non sceglierebbero l’Italia (che notoriamente riserva un ambiente fiscale abbastanza ostile per complessità, incertezza e farraginosità, come riconosciuto anche nelle recenti dichiarazioni del ministro della Giustizia Carlo Nordio); il secondo, invece, consiste nell’escludere dalla valutazione i benefici indiretti provenienti dal cosiddetto indotto.
Sulla base dei dati disponibili, si osserva che nel primo anno del regime, si contavano poco meno di cento aderenti (fonte Mef), mentre nel 2023, il numero sembrerebbe, viste le ultime stime, prossimo alle tremila unità. I dati degli ultimi report pubblicati dall’His Majesty’s Revenue and Customs (l’Amministrazione finanziaria del Regno Unito) mostrano come, a oggi, il regime “res non dom” conti quasi 60.000 aderenti. Non è difficile pensare che una porzione non marginale di questi, in vista della futura perdita dei vantaggi fiscali, possa decidere di stabilirsi in Italia, determinando una ancor più considerevole crescita degli aderenti.
Le ricadute in termini di gettito per il Paese, al di là dell’imposta sostitutiva, riguardano principalmente le imposte sui consumi (considerando una certa propensione alla spesa di questi soggetti) e l’imposizione sugli immobili. A tale ultimo riguardo, giova rammentare che gli immobili di lusso oggi non beneficiano di esenzioni ai fini Imu e, nelle operazioni di compravendita, vedono l’applicazione delle aliquote massime sia per l’Iva (22%) sia per l’imposta di registro (9%), senza possibilità di invocare i benefici “prima casa”. Circostanze di tutto rilievo, se si pensa che le imposte sui trasferimenti immobiliari costituiscono quasi un quarto di tutta la fiscalità immobiliare del Paese (fonte Mef – AdE, Gli Immobili in Italia 2023). Inoltre, se oggetto di acquisto è un immobile che è stato ristrutturato con il Superbonus, le eventuali plusvalenze generate dai venditori darebbero luogo a ulteriore tassazione, come previsto dalla Legge di Bilancio 2024.
A tutto ciò si aggiunge, ovviamente, la fiscalità relativa ai redditi prodotti nel territorio dello Stato, determinata secondo le regole ordinarie: il dato non è di poco conto, soprattutto se si considera che la metà di coloro che hanno optato per il regime, secondo i dati delle dichiarazioni presentate negli ultimi anni, continua ad essere attivo sul mercato del lavoro italiano, producendo redditi da lavoro dipendente in Italia.
In conclusione, al di là di semplicistiche considerazioni di equità fiscale, non possiamo che accogliere con entusiasmo la decisione del governo britannico, immaginando importanti ricadute economiche (dirette e indirette) per l’intero sistema-Paese.
* Giuliano Foglia è fondatore e managing partner di Foglia & Partners