di Giuliano Foglia*
Nell’ampio contesto della Riforma Fiscale, di cui alla Legge delega n. 111/2023, è stata prevista anche la razionalizzazione dell’imposta sulle successioni e donazioni: la relativa bozza di decreto legislativo predisposta dal Governo si occupa anche di disciplinare la rilevanza – ai fini dell’imposta stessa – delle attribuzioni effettuate attraverso il trust, con l’inserimento nel relativo testo unico (d.Lgs. n. 346/1990) dell’art. 4-bis, appunto dedicato ai trust e agli altri vincoli di destinazione.
L’introduzione di una norma ad hoc si è resa necessaria per cristallizzare – finalmente – il regime fiscale dei trust, dopo una annosa contrapposizione tra Amministrazione Finanziaria e giurisprudenza della Cassazione, apparentemente risolta, pur in assenza di uno specifico intervento normativo, dalla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 34/E/2022.
Prima di analizzare le prospettate novità della bozza di decreto, è opportuno ripercorrere brevemente alcuni tratti salienti di questo tema.
Tradizionalmente – ed in particolare con le Circolari n. 48/E/2007 e 3/E/2008 (oltre che negli atti di accertamento) – l’Amministrazione Finanziaria riteneva che si integrassero i presupposti dell’imposta di successione e donazione già al momento dell’apporto del disponente dei beni in trust, senza attendere l’effettiva attribuzione degli stessi al beneficiario.
La giurisprudenza di legittimità, che in prima battuta aveva condiviso la posizione delle Entrate, era successivamente giunta, consolidando definitivamente il proprio orientamento, alla soluzione opposta. In particolare, poiché il presupposto impositivo imponeva il reale trasferimento di beni e diritti e quindi l’arricchimento dei beneficiari, ai fini fiscali era considerato rilevante il momento di effettivo incremento patrimoniale di questi ultimi (e quindi la distribuzione da parte del trustee) e non già la dotazione del trust da parte del disponente.
Con la Circolare 34/E/2022, l’Agenzia delle Entrate ha finalmente preso atto di tale orientamento, recependolo e affermando quindi che l’imposta in oggetto dovesse trovare applicazione nel momento di “uscita” dei beni e diritti dal trust per essere trasferiti ai beneficiari. L’Agenzia aveva comunque ritenuto che, a determinate condizioni, l’arricchimento dei beneficiari poteva rinvenirsi già all’atto di costituzione o dotazione del trust. Ciò, in particolare, nell’ipotesi in cui i beneficiari (individuati o individuabili) fossero titolari di diritti pieni ed esigibili, non subordinati alla discrezionalità del trustee o del disponente, tali da consentire loro l’arricchimento e l’ampliamento della propria sfera giuridico-patrimoniale già al momento dell’istituzione o della dotazione del trust.
Con la bozza di decreto, il Governo ha voluto recepire nella norma questa possibilità, pur rimettendola alla scelta dei soggetti coinvolti. Più nel dettaglio, il testo nella sua attuale versione prevede che:
- l’imposta si applichi al momento del trasferimento dei beni e diritti a favore dei beneficiari;
- le aliquote e le franchigie previste dall’art. 7 del testo unico si applichino in ragione del rapporto tra disponente e beneficiario;
- il disponente (o il trustee in caso di trust testamentario) possa optare per la corresponsione dell’imposta in occasione di ciascun conferimento dei beni in trust (ovvero all’apertura della successione), senza quindi attendere il trasferimento al beneficiario, determinando la base imponibile, le aliquote e le franchigie con riferimento al valore complessivo dei beni e dei diritti e al rapporto tra disponente e beneficiario risultanti al momento del conferimento (o all’apertura della successione). Coerentemente, se i beneficiari non fossero individuati (o, sarebbe meglio dire identificati), l’imposta verrebbe calcolata con l’aliquota più elevata (ad oggi, 8 per cento) senza l’applicazione di franchigie. Ad esito dell’esercizio di tale opzione, i successivi trasferimenti a favore dei beneficiari non sarebbero soggetti ad imposta ed il rapporto tributario, quindi, si considererebbe “esaurito”.
Una norma di questo tipo (che, per espressa disposizione, dovrà essere integrata, con riferimento alle modalità attuative, da appositi provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate) costituirebbe un passo in avanti a beneficio della certezza del diritto, andando a disciplinare espressamente le vicende impositive in commento. Ma non solo. La possibilità di optare per la tassazione “in entrata” rappresenterebbe, evidentemente, un’opportunità nell’ottica della pianificazione successoria e, più in generale, del passaggio generazionale.
Ad oggi, il carico impositivo per le successioni e le donazioni in Italia appare particolarmente favorevole, trovando applicazione con le aliquote del 4, 6 e 8 per cento secondo il rapporto di parentela tra le parti coinvolte, per i valori eccedenti le franchigie di 1.000.000 di Euro (per il coniuge e parenti in linea retta) o 100.000 (per fratelli e sorelle). Il regime appare ancor più vantaggioso se si osserva che in altri Paesi dell’Unione Europea, le aliquote sono ben più alte, attestandosi mediamente tra il 35 ed il 40 per cento (ma arrivando sino al 60).
Allora, emerge come questa novità possa conferire un ulteriore motivo di appeal nei confronti del trust se si considera che l’opzione per la tassazione “in entrata” dei beni segregati – sulla base delle aliquote e delle franchigie oggi vigenti – sarebbe in grado di escludere gli stessi da una tassazione futura, con aliquote e franchigie oggi ignote.
In altre parole, tenendo in debita considerazione le peculiarità del trust, in grado di interporre un intervallo temporale tra lo spossessamento del disponente e la materiale apprensione dei beni e dei diritti del beneficiario (ovvero, per tutto il tempo in cui i beni sono custoditi dal trustee), la possibilità in commento assume una certa rilevanza nell’ottica della pianificazione successoria.
In termini pratici, potrebbe risultare conveniente definire oggi la tassazione (beneficiando delle aliquote e delle franchigie vigenti) dei beni e diritti che dovranno essere trasferiti definitivamente ai beneficiari un domani.
Al di là di ogni valutazione pronostica sulla futura entità delle aliquote o delle franchigie, che evidentemente non può essere oggetto di alcuna previsione, non si può ignorare il trend internazionale che, come detto, rispetto all’Italia prevede regimi (almeno ai fini delle successioni e donazioni) assai più gravosi.
Allora, il ricorso allo strumento del trust consentirebbe non solo di soddisfare quelle esigenze, di natura prettamente extrafiscale, relative alla protezione del patrimonio, assicurate dalla segregazione patrimoniale, ma anche di pianificare e perfezionare in anticipo le vicende impositive relative al passaggio generazionale, beneficiando, in ultima istanza, di un regime fiscale tra i più competitivi dell’intero panorama internazionale.
* Giuliano Foglia (nella foto in alto) è Fondatore e Managing Partner di Foglia & Partners