La prova generale, forzata dagli eventi, si è svolta durante il periodo della pandemia in tutte le aziende familiari della penisola. Una risposta immediata di solidarietà nei confronti delle comunità dove sono insediate, che in qualche caso ha portato perfino a convertire delle linee produttive per fornire strumenti di protezione. Così lo choc covid ha messo in luce una naturale predisposizione delle aziende familiari verso la responsabilità sociale, declinata spesso con iniziative personali dell’imprenditore, non solo di beneficenza o di sponsorizzazioni e donazioni o, ancora, di investimenti in strutture sociali. Soprattutto una grande attenzione al capitale umano e alla società allargata che in qualche modo contribuisce al successo di una attività economica. Quella che si identifica negli stakeholder.
«Oggi la sfida è strutturare queste sensibilità e inserirle nella strategia generale dello sviluppo e dell’innovazione», è la prospettiva disegnata da Silvia Rimoldi, Partner Kpmg, responsabile del Centro di eccellenza sul Family business, che ne ha parlato con Carlotta Rossi Luciani, director di Carel, al workshop “Governance della sostenibilità”, che si è tenuto nell’ambito di Family Business Forum edizione 2022.
Non basta più la Csr (Corporate social responsibility). Adesso la formula decisiva è Esg (Environmental, Social and Governance) con al centro i fattori ambientali (qualità e funzionamento dell’ambiente e dei sistemi naturali), sociali (questioni relative ai diritti, al benessere e agli interessi delle persone e delle comunità) e di governance (il modo in cui le aziende sono gestite e supervisionate). Con gli aspetti economici (utili), finanziari (l’appetibilità verso gli investitori), operativi (rischi) e sociali non più affrontati separatamente ma in una unica politica che pervade l’azienda. Sono i modelli di governance studiati da Silvia Rimoldi in particolare per le imprese familiari, che non sono certo a digiuno di responsabilità sociale ma c’è ancora strada da percorrere. «Il 54% delle prime 100 società familiari, 17 delle quali quotate, presentano già un rendiconto volontario, anche se spesso parziale”, ha rivelato Rimoldi, “ma emerge una sensibilità spontanea verso questi aspetti».
«Lo sprone decisivo, però, arriva dal mercato», mette in guardia la partner Kpmg: «I consumatori o le filiere produttive lo impongono, le banche lo pretendono e ne tengono conto nella rischiosità e nei tassi di interesse, gli investitori danno il voto e spesso restringono le scelte a chi rispetta queste regole». Non solo. La sostenibilità porta anche a un miglioramento della struttura dei costi e coinvolge tutti i settori aziendali. La soluzione? «Un processo decisionale che parte dalla leadership che inserisca questi obiettivi nella strategia, nella gestione e nella governance, delegando a comitati che se ne occupano specificamente». In effetti, questo processo fa parte della più ampia cultura dell’innovazione che è già nel dna delle aziende familiari di successo. E che ora può dare una marcia in più nella competitività. «Anche a patto che venga inserita nel recruiting e nella formazione dei giovani», ha concluso Rimoldi. «E che venga comunicata, superando una ritrosia tradizionale delle aziende familiari».