di Biancamaria Cavallini
La famiglia tesse trame. È un sistema complesso, nel quale si intersecano storie, esperienze, legami, generazioni. Il tutto, lungo una linea del tempo che ha un passato più lungo di quella dei suoi membri presenti e che, contemporaneamente, si proietta in un futuro che porta con sé aspettative, desideri, bisogni. Se a tutto questo si aggiunge il fatto che la famiglia è proprietaria di un’azienda, il quadro non può che stratificarsi. Ed è qui che la Psicologia può venire in aiuto. Sebbene sia spesso la grande assente.
Nelle aziende il benessere psicologico delle persone comincia oggi ad essere parte integrante dei processi organizzativi. Servizi di supporto psicologico, percorsi di formazione e sensibilizzazione alla dimensione mentale a lavoro, iniziative di comunicazione in tal senso, sono tutte iniziative ritenute sempre più strategiche. Sia in ottica di well-being, sia per attrarre e trattenere i talenti, sia per la salute, la sicurezza e la sostenibilità.
Non è un caso, ad esempio, se lo scorso ottobre, due sentenze della Cassazione abbiano riconosciuto il ruolo del clima organizzativo e relazionale dell’azienda nell’insorgenza di ansia e depressione legate al lavoro.
Per capire le potenzialità di un approccio di questo tipo, anche e soprattutto in un’impresa familiare, si può partire da una domanda: siamo o facciamo il nostro lavoro?
Non esiste una risposta corretta. Ogni persona risponde a suo modo a questo interrogativo. Chi è il proprio lavoro vive quest’ultimo come parte integrante della sua vita e della sua identità. La gestione del tempo e dello spazio è fluida e i confini tra attività lavorative e non, labili. Da qui, ne deriva anche una gestione delle relazioni che va oltre l’essere collega: si possono stringere legami amicali e si vive l’ecosistema sociale della propria realtà professionale come parte integrante del proprio.
Chi invece fa il proprio lavoro, preferisce tenere separati i diversi domini di vita: organizza spazio e tempo in maniera funzionale a ciò, confinando la vita – quella vera – a tutti quei momenti in cui non si lavora. Ne deriva un’identità personale e un sistema di relazioni slegati dalla sfera professionale.
Una persona non sceglie se “essere” o “fare” il proprio lavoro: semplicemente tende a una posizione piuttosto che all’altra. Eppure, se si analizza il contesto delle aziende familiari, appare evidente come sia l’”essere” a prendere il sopravvento. Lasciando spesso in scacco chi tenderebbe a “fare”. Dopotutto, si “è” la famiglia, non si “fa” la famiglia.
Vediamo allora nel dettaglio che forma assume l’”essere” nelle imprese familiari, lungo i quattro elementi in parte già analizzati: tempo e spazio, relazioni e identità.
Tempo e spazio
Le imprese familiari sono caratterizzate da confini permeabili e fluidi, sia che questi riguardino il tempo sia che interessino lo spazio. Il lavoro viene portato a casa e la casa a lavoro. Cene, pranzi, momenti conviviali e festività si trasformano in vere e proprie riunioni e spesso si ha difficoltà a ritagliarsi momenti in cui essere semplicemente parenti.
Da qui, la necessità di definire confini per tutelare il proprio benessere psicologico. Essere il proprio lavoro non significa infatti doversi adeguare alla loro mancanza, quanto piuttosto essere in grado di porli da sé. Darsi delle regole condivise che permettano ad esempio di concordare argomenti tabù durante i pasti, può essere una soluzione nel suo piccolo efficace.
Relazioni
Quando mi interfaccio con un collega è raro che lo conosca prima, al di fuori del lavoro. Le sporadiche volte in cui avviene, è comunque una persona con cui ho sì un legame, ma non una storia genealogica condivisa. Quando invece il mio collega è anche un parente, ci si ritrova a doversi rapportare non solo con questo doppio ruolo, ma anche, in un certo qual modo, con sé stessi. I propri familiari, da questo punto di vista, sono infatti un nostro specchio.
Può allora essere utile che la famiglia venga supportata da un intervento psicologico, che le garantisca uno spazio sicuro di ascolto, in cui poter affrontare tutti quei nodi che diversamente rimarrebbero lì, esacerbandosi.
La presenza di uno Psicologo, inoltre, può essere d’aiuto anche nella gestione di riunioni e momenti di confronto giornalieri in azienda, grazie alla possibilità di mediare e gestire i vissuti emotivi delle parti.
Identità
Si è ciò che si è in virtù delle proprie relazioni, esperienze e – ovviamente – della propria storia familiare. Eppure, la Psicologia ci insegna che per diventare se stessi è anche sano e opportuno che da quest’ultima si prendano le distanze. Ecco allora che possono nascere conflitti a partire da visioni del mondo o sistemi di valori che divergono. Specialmente se a questo quadro si aggiunge la differente appartenenza generazionale, altro aspetto che concorre a definire la propria identità.
Molto spesso, tuttavia, le imprese familiari mal tollerano le differenze, motivo per cui si tende a riportare tutto all’impostazione che si è sempre tenuta.
In uno scenario di questo tipo, la frustrazione di chi non si riconosce nel sistema di valori e nelle scelte della propria famiglia può rivelarsi allora profonda. Anche in questo caso, un supporto psicologico – questa volta individuale – può venire in aiuto, con l’obiettivo di comprendere a fondo chi si è e se il proprio lavoro permette effettivamente di “essere” ciò che autenticamente si desidera.