di Daniela Fabbri
Come si comportano le aziende italiane di fronte all’innovazione? Le aziende familiari sono più o meno ingaggiate in questa sfida rispetto alle loro competitor a gestione manageriale? A queste domande ha cercato di dare una risposta l’Innovation Excellence Study, realizzato da Bonfiglioli Consulting in collaborazione con il Centre for Family Business Management della Libera Università di Bolzano. Un’indagine che ha analizzato le politiche di innovazione di un campione di aziende di 9 settori merceologici, il 67% rientranti nella definizione di “aziende familiari” (possedute per almeno il 50% se non quotate, o almeno per il 30% se quotate da una o più famiglie).
I dati emersi sono abbastanza positivi: nell’ultimo triennio le aziende del campione hanno lanciato mediamente 29 nuovi prodotti o servizi l’anno. È da una lettura più attenta che emergono le criticità: la maggioranza delle innovazioni riguardano il processo, quindi un aspetto interno all’azienda, e meno servizi o prodotti per il cliente. Allo stesso modo la metà di queste innovazioni sono “significativamente nuove per l’azienda”, mentre meno del 30% lo sono per il mercato di riferimento. C’è quindi in atto un importante processo di investimento nella Digital Transformation, che al momento si limita però all’adozione di sistemi gestionali certo non inediti (ERP, MES, CRM). Secondo gli autori della ricerca “aziende italiane vogliono e hanno la capacità di innovare, ma la loro capacità di sfruttare appieno e nuove modalità di creazione del valore è ancora limitata”.
L’Innovation Excellence Study ha poi creato un’identikit delle aziende, sulla base della loro propensione e delle modalità con cui affrontano l’innovazione. Il 31% del campione è rientrato nel profilo dello “Sperimentatore”, caratterizzato da un approccio opportunistico all’innovazione, che punta a cogliere velocemente, anche se in modo non strutturato e spontaneo, le possibilità offerte dal mercato. Un profilo che ben si adatta alla specificità molto italiana dell’imprenditore che sviluppa la sua idea con successo. Il 37% ha invece un profilo da “Creatore”, in grado di produrre innovazione in modo efficiente perché possiede le competenze e un processo ben strutturato.
Interessante notare che il 40% delle aziende familiari rientrano nella categoria dello Sperimentatore, mentre il 57% di quelle non familiari ha il profilo più strutturato e organizzato del Creatore. Secondo i ricercatori “si confermano, anche nell’area dell’innovazione, le difficoltà incontrate dalle aziende familiari a dotarsi di modelli organizzativi strutturati e di processi specifici”. Per tutte, però, rimane un approccio fortemente legato al miglioramento dei prodotti/servizi esistenti, piuttosto che sulla ricerca di settori o prodotti alternativi. Mancherebbe quindi quella marcata propensione al rischio che consentirebbe di sfruttare l’innovazione come leva per uscire dal proprio settore di riferimento o dal prodotto/servizio consolidato.
Un altro dato significativo riguarda il livello decisionale coinvolto nelle scelte di innovazione: nelle aziende familiari presidente o amministratore delegato sono quasi sempre coinvolti in prima persona nel processo di innovazione che nelle aziende non familiari viene invece gestito più a livello di direttore tecnico, responsabile ricerca e sviluppo o direttore commerciale.
Emerge infine un tema di fondamentale importanza anche in prospettiva: le competenze, e quindi la qualità delle risorse umane presenti in azienda, fanno la differenza anche rispetto al fatto di avere o meno un processo strutturato a supporto dell’innovazione. Ancora una volta sono le persone a fare la differenza, al punto che talenti e competenze possono colmare tutti i deficit organizzativi quando si tratta di individuare aree e strategie di innovazione.