di Maria Elena Viggiano
Ritorna periodicamente il dibattito sulla patrimoniale. E come sempre c’è una forte divisione tra chi pensa sia necessaria per tutelare il futuro delle prossime generazioni e chi sostiene sia un modo per colpire ancora una volta i contribuenti aumentando appunto le tasse sulle ricchezze personali. Una paura presente in molti paesi europei, i governi sono infatti ancora alla ricerca di risorse finanziarie per compensare gli effetti della pandemia e della guerra in Ucraina nonostante una graduale stabilizzazione della situazione avvenuta negli ultimi due anni.
Così fondi aggiuntivi significano più tasse. Allo stato attuale, solo tre Paesi dell’Oecd hanno imposte sul patrimonio: Norvegia, Spagna e Svizzera. Altri paesi come il Belgio, la Francia e l’Italia tassano solo determinati asset. Da una ricerca, recentemente pubblicata su The Accounting Review, è emerso che aumentare le tasse ai ricchi potrebbe portare a ripercussioni negative e indesiderate, soprattutto nel caso delle aziende familiari.
Lo studio ha analizzato 4.381 società quotate in 26 Paesi europei tra il 2000 e il 2017 i cui azionisti o proprietari, nel caso di aziende familiari, hanno subito un aumento significativo della ricchezza personale grazie alle loro partecipazioni. Da qui gli analisti si sono concentrati su azionisti e proprietari soggetti a un’imposta sul patrimonio. Il risultato è stato che a tasse sul patrimonio più elevate corrisponde una successiva politica di pagamento di dividendi più alti nelle aziende controllate. Con la conseguenza di un depauperamento e di un indebolimento competitivo di queste ultime.
Ma qual è la situazione in Italia? «In Italia non abbiamo una vera e propria imposta sul patrimonio familiare, in linea con la maggior parte dei Paesi europei», sottolinea Guido Testa, co-managing partner di Orrick Italia, specializzato in operazioni di M&A e Private equity. «Quando si distribuiscono i dividendi, i patrimoni delle persone non sono soggette a tassazione e anche l’imposta di successione è molto bassa». Infatti, ci sono tasse specifiche che vanno a gravare su determinati beni, «l’Imu che colpisce gli immobili situati in Italia e la corrispondente Ivie, l’imposta sul valore degli immobili all’estero». In aggiunta ci sono «le imposte di bollo sui prodotti finanziari».
Per Testa, con la crescita del debito pubblico, la patrimoniale è un tema presente sui tavoli di lavoro dato dalla necessità di aumentare le entrate fiscali. Molto dipende dal colore politico dei governi, più o meno propensi a colpire il patrimonio o le successioni». Ma in questo momento storico, andare ad aumentare le imposte potrebbe avere l’effetto di «deprimere i consumi», quindi, «non mi risulta ci siano in corso discussioni concrete per l’introduzione di nuove tasse».
Dello stesso avviso Giovanni Leoni, Of Counsel di Orrick Italia specializzato in diritto tributario, che afferma «è in discussione la bozza della delega fiscale che nasce dal governo precedente, ma bisogna seguire i lavori per capire quali potranno essere gli scenari che potrebbero interessare le imprese e le persone fisiche». La riforma fiscale è tra le priorità individuate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per dare delle risposte alle esigenze strutturali del Paese. Tra i principali punti: la struttura dell’Irpef, la revisione della tassazione d’impresa, la razionalizzazione dell’imposta sulle successioni e donazioni. Ma anche se «il governo iniziasse a lavorare da subito per i vari passaggi legislativi, la riforma fiscale non potrà essere portata a regime prima di due anni».
Guido Testa e Giovanni Leoni (Orrick Italia)