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GOVERNANCE

Lista del Cda, chi la adotta in Italia (e nel mondo)

Sono 50 le società quotate con lo statuto che prevede questa possibilità. Ma solo 15 lo mettono in pratica. Contrariamente a quanto avviene negli altri Paesi
News, Analisi
Pubblicato il 2 Ottobre 2023

di Maria Silvia Sacchi

 

In queste settimane tiene banco, in tema di governance, la questione della lista del Cda, ovvero la presentazione di candidature per la nomina del consiglio di amministrazione da parte degli amministratori uscenti.

Diverse le domande che si pongono. 1) Quante sono in Italia le società che prevedono la lista del Cda. 2) Quante sono le società in Italia che utilizzano concretamente la lista del Cda. (Esiste, infatti, una differenza tra le prime e le seconde). 3) Come si pone la lista del Cda rispetto al contesto internazionale.

 

In Italia è una regola volontaria

Assonime, l’associazione tra le società per azioni, nel “Report on Corporate Governance in Italy: the implementation of the Italian Corporate Governance Code” numero 4 del 2023, ricorda che in Italia la regola per eleggere il consiglio di amministrazione è di default quella del “sistema del voto di lista” su iniziativa degli azionisti.

Introdurre la lista del Cda, dunque, “rappresenta una scelta volontaria di governance di una società”.

La previsione statutaria è la condizione necessaria per la lista del Cda, ma non sufficiente. È una opzione: la società può comunque decidere di utilizzare il voto di lista. Ed è quello che di fatto accade in Italia.

 

Chi ha in statuto la lista del Cda e chi la usa davvero

Se si scorrono le analisi di Assonime si vede che sono 50 le società quotate in Italia il cui statuto prevede la possibilità di esprimere una lista del Cda. Si tratta del 21% delle società quotate al solo mercato principale (11,7% se si comprendesse anche l’Euronext Growth Milan).

Il dato però scende se si considerano le società che nell’ultimo triennio hanno effettivamente presentato la lista per mano del consiglio di amministrazione uscente: sono 15, circa il 6,5% delle società quotate al mercato principale.

Le 15 società che oggi in Italia utilizzano la lista del Cda sono: Assicurazioni Generali, Avio, Banco Bpm, Bff Bank, Cellularine, Fineco Bank, Illimity, Mediobanca, Net Insurance, Ovs, Prysmian, Sabaf, Telecom, Unicredit, Unieuro. Come si vede, si tratta in grande maggioranza di società finanziarie.

 

L’azionariato: diffuso o concentrato

Uno degli argomenti che si dice spinga verso la lista del Cda è l’avere un azionariato frammentato. E questo sembra essere anche il caso italiano.

Delle 50 società quotate italiane che hanno nello statuto la possibilità della lista del Cda, 13 sono infatti ad azionariato diffuso. Non tutte però, pur avendo la possibilità, fanno ricorso alla lista del Cda: su 13, la utilizzano in 10. Si tratta di Generali, Banco Bpm, Bff Bank, Cellularline, Fineco bank, Illimity, Mediobanca, Prysmian, Unicredit, Unieuro.

 

Società privatizzare e Ipo

Sempre scorrendo i dati di Assonime, si vede che delle 50 società quotate che hanno la lista del Cda in statuto, 12 sono società che sono state privatizzate dallo Stato. Non è un caso: avere questa previsione statutaria è stata una condizione per molte delle privatizzazioni avvenute. Anche se, poi, nella realtà sono molto poche quelle che hanno fatto ricorso a questo meccanismo: in totale 3, Avio, Telecom e Unicredit. Non Enel, non Leonardo, non Eni, non Finmeccanica, etc.

Infine, delle 50 nel cui statuto è presente la possibilità della lista del Cda, 15 sono società che si sono quotate negli ultimi 5 anni. Anche in questo caso, però, quelle che hanno effettivamente usato la norma sono solo 3: Cellularline, Illimity e Net Insurance.

 

In Italia, insomma, sembra che la lista del Cda sia finora stata introdotta in statuto più per uniformarsi alle prassi internazionali (vedi più avanti) più che a una vera volontà di utilizzo.

 

Va anche detto che fino al momento dello scoppio della vicenda Generali c’era anche incertezza su quello che sarebbe stato l’approccio dell’autorità di vigilanza. Il “richiamo di attenzione” della Consob del gennaio dello scorso anno, definito dopo una consultazione pubblica, ha confermato la legittimità delle liste per il consiglio presentate dai Cda uscenti. Ha però indicato “alcuni accorgimenti per mitigare gli aspetti critici” che per Consob potrebbero derivarne, legati soprattutto “all’autoreferenzialità e autoperpetuazione” dei sistemi di governance.

 

Il contesto internazionale

Proprio nell’ambito della consultazione della Consob, Massimo Belcredi, direttore del Centro di ricerche finanziarie sulla corporate governance dell’Università Cattolica, scrive all’organismo di vigilanza che la presentazione di candidature da parte del Cda uscente “costituisce la prassi assolutamente dominante, non solo nei Paesi anglosassoni ma anche in Paesi caratterizzati da proprietà concentrata (in particolare nell’Europa continentale)”.

Belcredi porta i risultati di una analisi da lui effettuata sulle società europee appartenenti all’indice Euro Stock 50, composto dalle 50 società quotate dell’area euro a maggiore capitalizzazione, nella quale analizza le normative nazionali, gli statuti e il materiale assembleare delle singole società. Si tratta, precisa, di 50 società “caratterizzate da grande varietà di assetti azionari, forme legali e strutture dell’organo amministrativo” e che, dunque, offrono “un buon punto di partenza per trarre indicazioni sulla best practice internazionale”.

La conclusione dell’analisi di Belcredi è che “in tutti i Paesi considerati tranne l’Italia, la prassi dominante (45 casi su 50) è la presentazione delle candidature da parte del board. Particolarmente interessanti sono le società francesi e spagnole dove, pur in assenza di vincoli specifici, il board ha sempre presentato le candidature nelle ultime assemblee”. Il sistema – conclude lo studioso – è ben conosciuto agli investitori istituzionali internazionali, che non solo non si oppongono a esso ma votano quasi sempre a favore dei candidati proposti dal board”.

Anche Assonime nel report già citato scrive che la lista del Cda “appare di fatto più in linea con le best practices internazionali e addirittura pienamente coerente con i principi del Codice di Autodisciplina italiano”. Il Codice, infatti, continua Assonime, “raccomanda espressamente alle società lo svolgimento di alcune attività funzionali alla presentazione delle liste dei candidati da parte del consiglio, quali l’autovalutazione e la fissazione di indirizzi sulla composizione ottimale del consiglio e affida al comitato per le nomine il compito di supportare il consiglio in tali attività, compresa la presentazione delle liste di candidati”.

 

Ecco le 50 società quotate che prevedono in statuto la possibilità della lista del Cda:

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