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Dal caso Agnelli al caso Caprotti, cosa insegna l'attualità

Le mosse da fare per gestire il conflitto in famiglia

Morosetti (Bocconi): bisogna prevenire, dotandosi di una governance familiare e aziendale moderna. Sbagliato, invece, negare, ignorare e cercare compromessi
News, Analisi
Pubblicato il 29 Febbraio 2024

di Paolo Morosetti*

Nella famiglia Agnelli, Margherita e i figli di seconde nozze si contrappongono sul piano legale a John, Lapo e Ginevra Elkann, figli di prime nozze, per una spinosa e intricata successione proprietaria relativa alla madre Marella, moglie dell’Avvocato. Nella famiglia Caprotti, Giuseppe, figlio del fondatore Bernardo, ha recentemente dato alle stampe un’opera dal titolo evocativo: Le ossa dei Caprotti. Una storia italiana. In risposta, la sorella Marina, figlia di seconde nozze, non ci ha messo molto a ristampare un celebre libro dell’amato padre, Falce e martello con un nuovo contributo nell’introduzione e un sottotitolo che non lascia spazio a dubbi: “in memoria di un uomo che non può più difendersi”. Nella famiglia Del Vecchio, gli eredi di Leonardo, scomparso nel giugno 2022, si sono detti, invece, oggi vicini a un accordo dopo un periodo di differenze di pensiero.

Lo scenario

Le notizie su dissidi e scontri all’interno di famiglie imprenditoriali celebri occupano sempre più spazio sulle testate giornalistiche generaliste per soddisfare la curiosità di un’opinione pubblica amante del “dietro le quinte” oppure che trova consolazione nell’osservare come i conflitti appartengano alla quotidianità anche di coloro che sono benestanti.
Poiché i dati sull’evoluzione della popolazione delle aziende familiari evidenziano che il numero di successioni è in aumento per questioni anagrafiche (Osservatorio AUB), ci si potrebbe chiedere se all’orizzonte si stia per delineare uno scenario a intensa conflittualità. Al momento non abbiamo ancora risposta, ma possiamo supporre che proprio in occasione di un trasferimento mortis causa di diritti proprietari oppure di scelte di governance riguardanti la successione nella leadership, il rischio di conflittualità tenda a manifestarsi con maggiore probabilità con effetti nefasti sul benessere dell’individuo, della famiglia e dell’azienda.
Guido Corbetta, proprio su questa testata, sottolinea che a fronte di qualche caso infelice nella gestione di una successione, ce ne sono molti dove, invece, le cose sono andate bene, anzi molto bene, diffondendo ottimismo sulla capacità del sistema delle aziende familiari di fare scelte lungimiranti. A suo parere, tre sono gli elementi chiave per una successione efficace: responsabilità, educazione e processo professionale. A questi ne aggiungerei un quarto: gestione dei conflitti. Maggiore questa competenza, maggiori le chance di proteggere e creare valore attraverso le generazioni.

Come nasce il conflitto

I conflitti sono innescati da alcuni detonatori ben noti in letteratura e nella practice di family business. In primo luogo, quando c’è una diversità di vedute fra le parti sugli obiettivi da perseguire, all’interno di una stessa generazione oppure fra generazioni, si può originare un conflitto. In secondo luogo, se ci sono differenze su come gli obiettivi debbano essere perseguiti. Si tratta di uno scontro su aspetti di processo, ovvero su modalità realizzative, non di direzione e visione futura come nell’opzione precedente. In terzo luogo, un conflitto può materializzarsi a causa di scelte di allocazione fra gli eredi del patrimonio del de cuius. Chi lascia è libero di redigere un testamento nel rispetto del diritto successorio e adempiendo agli impegni etico-morali presi o anticipati ai propri successori quando ancora in vita. Chi rimane, se ritiene che i suoi diritti legittimi siano lesi, può appellarsi per una revisione delle assegnazioni del patrimonio fra eredi. Infine, il conflitto può intrecciarsi con questioni di natura relazionale. Invidia, risentimenti, rancori, gelosie, soprusi, ricerca di potere, per citarne alcuni, sono pericolosi detonatori di scontri più o meno risolvibili. In questo contesto di cosiddetto conflitto relazionale cala in genere una nebbia fitta di emotività che avvolge e oscura i problemi veri, innescando una catena di comportamenti irrazionali e incontrollati che alimentano lo scontro, anziché acquietare le acque.

Risolvere un conflitto non è semplice e in alcuni casi non è nemmeno possibile. Ci sono parti che non sono proprio vocate a collaborare insieme e l’unica via è quella di accordarsi su come dividere le strade: cosa non sempre banale e automatica come appare.

Cosa non fare

Tre sono le principali pratiche che la letteratura suggerisce di non seguire di fronte a un conflitto: negare, ignorare o puntare al compromesso. Negare è il modo migliore per favorire una escalation riducendo le probabilità di giungere a una soluzione efficace. Se le parti adottano la “politica dello struzzo” invece, ossia mettono la testa sotto la sabbia per ignorare una divergenza, il rischio è di lasciare in eredità conflitti latenti. Taluni risentimenti attraversano le generazioni, non muoiono con le persone che ci lasciano. In ultimo, anche la ricerca di un compromesso per “aggiustare una situazione” non è una strada tanto consigliata quando l’accordo è al ribasso: il sollievo di breve periodo che scontenta tutti e non accontenta nessuno.

E come, invece, muoversi

Se negare, ignorare e cercare compromessi non sono le opzioni da seguire, che cosa fare bene e di diverso?

Un principio generale raccomanda di dotarsi di una governance familiare e aziendale moderna, di alto calibro e aperta a terze parti. È un investimento indicato per la continuità che può agire da meccanismo per dirimere certi tipi di conflitti nel caso si manifestassero.
Quando il conflitto esplode, invece, bisogna aver già imparato a navigare fra logica e emotività per costruire un accordo che non sia né un compromesso svuotato di efficacia né una soluzione per sopravvivere in uno stato di perenne trincea armata o di conflittualità latente. Se non si riesce da soli, si può poi chiedere a terze parti qualificate un contributo di competenza per gestire un conflitto. Può essere un mediatore oppure un arbitro.

Tornando ai casi eclatanti che si leggono sui giornali, che cosa accadrà loro si scoprirà nelle pagine della cronaca. Per tutti coloro che non vivono sotto i riflettori e che si accingono a gestire una successione, l’esortazione è di attrezzarsi per tempo non sottostimando l’importanza di prevedere, canalizzare e gestire conflitti per costruire un disegno di azienda familiare e di famiglia imprenditoriale all’insegna della sostenibilità.

(nella foto, Paolo Morosetti)

*Cattedra Aidaf-Ey di Strategia delle imprese familiari “in memoria di Alberto Falck” – Università Bocconi

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