di Maria Elena Viggiano
«I ragazzi che vogliono entrare nell’azienda di famiglia sono sempre meno, un figlio su dieci, ma chi prende questa decisione ha un grande potenziale imprenditoriale». Racconta così Salvatore Sciascia, professore ordinario di Economia aziendale alla Liuc – Università Cattaneo, l’esito di una lunga ricerca che ha portato alla realizzazione del libro Imprese familiari e creazione di valore. Il contributo delle nuove generazioni. Continua Sciascia: «C’è una grande motivazione in questi giovani che amano la propria famiglia e l’azienda. Si sta riducendo il numero di ragazzi per cui l’ingresso è una imposizione o una scelta opportunistica; ormai cercano la loro strada, più scomoda e meno remunerativa. Vogliono essere liberi di fare le proprie scelte».
Sviluppato con il supporto di Banca Sella («Un coinvolgimento attivo in tutte le fasi del lavoro»), lo studio è stato curato da Sciascia e da Valentina Lazzarotti, professore ordinario di Ingegneria gestionale alla stessa Liuc, con il contributo di un team di sette specialisti del Family Business Lab (Fabula) che «hanno lavorato all’analisi dei dati e alla loro interpretazione». Un lavoro durato 15 mesi, durante i quali sono stati studiati 15 casi aziendali, selezionati sulla base di alcune caratteristiche: la presenza familiare nella proprietà, nel board e nel management; essere un’impresa di successo da più di una generazione e il passaggio generazionale concluso. Fontana Group, Thun-Lenet Group, Lucano 1894, Editoriale Domus sono solo alcune delle aziende studiate e visitate alla ricerca delle best practice utili per le nuove generazioni.
I giovani presi in esame sono nati tra il 1976 e il 1996, «persone giovani che però lavorano in azienda già da alcuni anni, raggiungendo posizioni di vertice e contribuendo allo sviluppo dell’impresa familiare». Al termine della ricerca sono emersi cinque profili differenti: revolutioner, venturer, orchestrator, renewer, improver. Invece sono tre i tipi di contributo prevalenti: innovazione, rinnovamento e venturing (la capacità di avventurarsi in nuove iniziative). Chi ha fatto innovazione di prodotto, chi di strategia magari entrando in nuovi mercati, chi un mix di scelte portando l’azienda a intraprendere nuovi percorsi. «Siamo partiti ponendoci l’obiettivo generico di indentificare i driver della capacità di creare valore nel tempo, attraverso le generazioni. Dallo studio di tanti casi così diversi (per dimensione, settore e localizzazione geografica) è emerso che persone differenti tra di loro avevano elementi comuni».
Da qui i cinque profili emersi. I revolutioner sono creativi, coraggiosi e con spirito di sacrificio. Grazie a queste attitudini personali sono in grado di rivoluzionare l’impresa di famiglia cambiandone le sorti e apportando profondi cambiamenti. I venturer hanno spirito di iniziativa e dinamicità. Il loro motto è «fare le cose e farle bene», sono alla continua ricerca di nuove sfide e iniziative imprenditoriali. Gli orchestrator sono aperti all’innovazione e per questo capaci di assumere comportamenti proattivi e aperti ai cambiamenti anche se implicano dei rischi. I renewer hanno la capacità di rinnovare l’attività familiare ripensando il modello di business, riposizionando il prodotto o ampliando la propria offerta. Infine gli improver, giovani leader che, spinti da una tradizione imprenditoriale trasmessa dalla famiglia, riescono a migliorare il business partendo da quanto creato dalle generazioni precedenti. «Questi modelli possono servire da riferimento per i giovani che entrano in azienda», conclude Sciascia. «Se le generazioni precedenti permettono l’ingresso delle nuove e consentono loro di esprimere la propria imprenditorialità, le aziende si possono davvero rinvigorire».
Nella foto in alto, Salvatore Sciascia