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L'INCHIESTA DEL WSJ

Adesso la Cina scopre la fuga dei cervelli all’estero (sempre meno verso gli Usa)

Sono andati nelle migliori università in patria e in Occidente, hanno fatto carriera a Pechino, Shanghai e Shenzhen e ora vivono e lavorano in Usa, Europa, Giappone, Australia. Anche perché Xi Jinping...
News
Pubblicato il 5 Ottobre 2023

di Redazione

C’è un esercito di studenti cinesi in giro per il mondo, accolti nelle università, quasi sempre a pagamento, dal Mit di Boston alla milanese Bocconi. Ieri, in grandissima parte pronti a rientrare per far carriera in patria. Oggi sempre più decisi a scegliere un futuro all’estero, come stanno facendo anche manager e scienziati affermati in aziende cinesi. Il fenomeno sta vivendo sorprendenti cambiamenti in termini dimensionali e anche geografici, con una inedita mappa delle migrazioni intellettuali che ora sta facendo parlare di preoccupante fuga dei cervelli dal Paese. Non solo. Si parla di migrazioni non più concentrate verso gli Stati Uniti ma diffuse negli altri continenti. Con una nuova componente politica nelle motivazioni, legata alle rigide misure governative di Pechino.

I numeri

Lo sviluppo economico e il benessere diffuso in molte fasce sociali hanno cambiato alla fine del secolo scorso le caratteristiche del fenomeno migratorio dal Paese. L’anno record è stato il 1992, quando 870 mila cinesi, secondo le valutazioni dell’Onu, avevano ottenuto il visto per espatriare. Nel 2012, 20 anni più tardi, quel numero si è ridotto a 125 mila grazie alle opportunità offerte dal boom dell’economia locale. L’anno scorso, dopo gli anni del covid-zero, con forti restrizioni e il rallentamento della crescita, la curva si è invertita con gli espatriati tornati a quota 310 mila. Lo stesso numero è già stato raggiunto nei primi nove mesi di quest’anno. Ma nello stesso tempo sono cambiati i loro livelli di istruzione con una tendenza considerata preoccupante dalle autorità di Pechino verso le alte professionalità formate in Cina o all’estero. Ma quale estero? Dal 2016 è cominciato a diminuire il flusso verso gli Stati Uniti, tendenza che si è accentuata negli anni seguenti in seguito al deterioramento del rapporto tra i due grandi Paesi e le restrizioni e difficoltà burocratiche per ottenere un visto a stelle e strisce per chi viene da Pechino, Shanghai o Shenzhen, le principali fabbriche di cervelli. Così nel primo semestre di quest’anno i permessi per studiare negli Stati Uniti sono scesi a 65 mila mentre sono cresciuti gli esodi verso altre mete, soprattutto il Regno Unito, che ha superato la soglia dei 100 mila, davanti ad altri Paesi europei, Giappone e Australia. E se è vero che tradizionalmente l’80% degli studenti all’estero tornavano in patria per partecipare al grande sviluppo, ora la stima parla di circa la metà. Non solo. Manager e ricercatori con esperienze e ruoli alti nei gruppi cinesi, soprattutto della tecnologia, fanno come gli studenti e trovano nel mondo un posto ben remunerato e in contesti di maggiore libertà e opportunità di qualità della vita e regole sociali, in poche parole in contesti democratici, che giustificano l’allarme per la fuga dei cervelli.

La motivazione politica

Secondo il New York Times, che al fenomeno ha dedicato una lunga inchiesta, «i cinesi, dai giovani agli imprenditori, votano con i piedi per sfuggire all’oppressione politica, alle cupe prospettive economiche e alle culture del lavoro spesso estenuanti. Sempre più spesso, l’esodo include professionisti della tecnologia e altri cinesi della classe media ben istruiti». «Ho lasciato la Cina perché non mi piaceva l’ambiente sociale e politico», ha detto uno degli intervistati dal quotidiano americano (in gran parte coperti dall’anonimato per timori di ritorsioni), Chen Liangshi, 36 anni, che ha lavorato a progetti di intelligenza artificiale presso Baidu e Alibaba, due delle più grandi aziende tecnologiche cinesi, prima di lasciare il Paese all’inizio del 2020. «Ha preso la decisione dopo che la Cina ha abolito il limite di mandato per la presidenza nel 2018, una mossa che ha permesso al suo capo leader, Xi Jinping, di rimanere al potere a tempo indeterminato», riporta il Nyt: «Non tornerò in Cina finché non diventerà democratica», ha detto, «e la gente può vivere senza paura». Ora lavora per Meta a Londra.

 

 

Nella foto, il programma di doppio degree tra la Tongji University (College of Design and Innovation) di Shanghai e il Politecnico di Milano

 

 

 

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