di Elena Fausta Gadeschi
Bassa produttività, elevato debito pubblico, disoccupazione giovanile, scarsa digitalizzazione, disparità territoriali tra Nord e Sud. Sono questi alcuni dei problemi che l’Italia si trova ad affrontare, mentre gli equilibri mondiali sono sempre più precari e il ruolo dell’Europa rischia di essere sempre più marginale. In questo quadro di incertezza socio-economica il Pnrr rappresenta un’opportunità storica irripetibile, di cui è necessario cogliere la portata, come sottolinea l’economista Marco Leonardi, già a capo del Dipartimento per la Programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio, autore del libro Partita doppia. Le scelte della politica tra riforme ed emergenze.
Marco Leonardi
«Il mondo è cambiato, l’Europa avrà bisogno di tanti Pnrr»
«Se pensiamo al futuro dell’Europa, è molto diverso da quello dell’anno scorso», spiega Leonardi durante la conferenza di Bookcity Milano dal titolo “Cosa serve all’Italia”. «La difesa non può più essere appaltata integralmente agli Stati Uniti, l’energia non può più dipendere dalla Russia né le esportazioni dalla Cina. D’ora in poi per stare in piedi l’Europa avrà bisogno di tanti Pnrr: per la difesa, per l’immigrazione, per le politiche industriali. Tutte queste cose o si fanno con decisioni e soldi in comune o non c’è nessun Paese che può farlo da solo. La strada non è quella di scorporare le risorse, come vorrebbe fare il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Per questo la revisione è un appuntamento fondamentale per la crescita italiana, per il Pil italiano e per il futuro dell’Europa». E prosegue: «L’errore più grande è sbagliare la revisione del Pnrr, tagliando e ridistribuendo le risorse non in base a un criterio di merito, ma in base a un criterio politico, come sta facendo il governo. Uno può essere contrario al Pnrr (di errori ne abbiamo fatti moltissimi), ma essere critici è fin troppo facile. Prima di tutto bisognava prenderlo, poi bisognava farlo e, adesso che è implementato, aggiustarlo di settimana in settimana. Se si butta tutto, si è persa la battaglia per far contare l’Europa in un mondo che è sempre più difficile, ma soprattutto non si fa l’interesse dell’Italia. Tutti gli investitori internazionali si chiedono: “Ma l’Italia starà in piedi? Finanziariamente questo debito pubblico è sostenibile?”. Solo se hai l’1% di crescita, il debito pubblico diventa sostenibile e il Pnrr funziona».
Paolo Manfredi
L’«economia paziente» per evitare una polverizzazione delle competenze
Nel libro L’eccellenza non basta. L’economia paziente che serve all’Italia, Paolo Manfredi è abbastanza scettico sulla possibilità che queste risorse possano rappresentare un volano per l’economia e parla del Pnrr come di una scommessa rischiosa. «Veniamo da più di 20 anni in cui siamo andati a togliere alla pubblica amministrazione ruolo, dignità, capitale umano. È arrivata la pandemia e improvvisamente abbiamo preteso che trainasse la ripresa dal Paese. Il Pnrr è composto da 196 miliardi di risorse, di cui due terzi a debito, che vanno a toccare ogni ambito del vivere nazionale, dall’economia alla cultura, dalla comunità alle infrastrutture, ma che poggiano su un corpo fragile, anzi sulle ossa più fragili del corpo che sono quelle dei Comuni. Non sta funzionando perché era un gettare il cuore oltre l’ostacolo che ha chiesto troppo a chi non era in grado di farlo. Sono molto grato a Marco Leonardi per il lavoro che ha fatto perché è un civil servant di cui un Paese ha tremendamente bisogno, ma l’ambizione di palingenesi attraverso questa enorme immissione di risorse pubbliche è andata molto oltre quello che è il sistema Paese». Manfredi sostiene, invece, che sia necessario costruire «un’economia paziente», circolare e basata su innovazione, competenze, lavoro e biodiversità, che organizzi e dia forza a tutte quelle energie inespresse per evitare una polverizzazione delle competenze «in un Paese sempre più piccolo e sempre più vecchio». «Abbiamo bisogno di non disperdere il capitale umano, siamo il terzo Paese al mondo che ne perde di più fra i ragazzi con il fenomeno dei Neet (Not [engaged] in Education, Employment or Training, cioè che non studiano, non lavorano e non si formano, ndr). Abbiamo bisogno di competenze a tutti i livelli. Mentre infuria la battaglia delle grandi competizioni sistemiche, noi abbiamo un valore che si è perso e dobbiamo rivitalizzarlo perché ci permetterà di fare la nostra parte e permettere di fare le transizioni necessarie, migliorando la qualità della nostra vita».
Federico Butera
Il potenziamento dei cantieri e la valorizzazione del lavoro di qualità
Federico Butera (sociologo, studioso di organizzazioni complesse), nel suo libro Disegnare l’Italia. Progetti e politiche per organizzazioni e lavori di qualità ha uno sguardo economico, ma riflette anche su come il Pnrr rappresenti un’occasione per riorganizzare e riordinare. «Tutto quello che c’è può funzionare in Italia se non sprecheremo questa opportunità straordinaria di usare bene i fondi. Abbiamo un debito pubblico intollerabile, molte imprese funzionano poco e male, la pubblica amministrazione è in prevalenza inadeguata e nel terzo settore, orientato ad attività di servizio, ci sono coraggio e passione, ma poca organizzazione. La conclusione è che l’Italia ha una questione organizzativa irrisolta. L’organizzazione può consentire di attivare gli investimenti che il Pnrr ci richiede e gestirli, e di fare delle riforme, anche se preferisco parlare di riorganizzazioni, dato che non si tratta solo di dettami legislativi, ma di modi di cambiare».
Dove è necessario intervenire?
Prima di tutto «bisogna aprire e potenziare i cantieri (ce ne sono troppo pochi), dove ogni singola organizzazione sia invitata e sostenuta a modificarsi profondamente nelle sue funzioni fondamentali. La tecnologia è imprescindibile, ma lo stesso lavoro deve essere ripensato e valorizzato. Le organizzazioni che hanno avuto successo hanno lavorato bene, attivando dei metodi partecipativi, mettendo dirigenti, quadri e persone esterne per fare una bonifica. Un’operazione di riorientamento da attivare soprattutto sulle piccole e medie imprese, nella pubblica amministrazione e nel terzo settore. E poi occorre attivare delle politiche pubbliche che siano in grado di promuovere, sostenere e sviluppare questi cantieri».
Il timore che queste risorse possano essere usate male o la preoccupazione che subentrino problemi nella governance tra centro e periferia non devono frenare il loro impiego. «Di fronte alla crisi del 1929, il New Deal di Roosvelt non prevedeva solo la distribuzione di soldi, ma anche l’attivazione di imprese private e organizzazioni pubbliche. Questo ha fatto la Germania subito dopo la guerra, in modo che la pubblica amministrazione, il sindacato, la ricerca, la scuola lavorassero insieme per ripensare il sistema. Questo abbiamo fatto più recentemente noi in Emilia-Romagna con il Patto per il lavoro, che è stato un caso di successo. La proposta è di sostenere lo sforzo del Pnrr e accompagnarlo con delle politiche che mettano insieme soggetti privati e pubblici, che facciano dei patti e che si diano degli obiettivi per aiutare i produttori di reddito e valorizzare il lavoro di cui abbiamo bisogno. A patto che sia lavoro di qualità. Se non lo è, avremo da una parte dei lavoratori qualificati che vengono rubati da un’azienda all’altra perché c’è un mismatch tra quello che si chiede e quello che è disponibile, e dall’altra lavoro degradato. Ridisegnare il lavoro deve diventare una priorità, per poter dare vita e spazio al Pnrr».
«Il rientro dei conti pubblici deve far parte di un piano pluriennale»
Sull’esigenza di utilizzare al meglio le risorse del Pnrr ritorna Marco Leonardi: «Abbiamo ottenuto questi soldi che sono fondi europei a tassi di interesse più bassi di quelli del debito pubblico italiano, e ne abbiamo ottenuti più degli altri, in virtù del fatto che abbiamo avuto una pandemia più pesante e abbiamo ritardi più strutturali. A questi si aggiungono soldi a fondo perduto. Ma per fare cosa? Digitale, green e inclusione sociale erano tre obiettivi di carattere europeo; a questi il Paese ha aggiunto tre obiettivi specifici: il Sud, le donne (la distanza sui tassi di occupazione riguarda anche le giovani diplomate e laureate, e questo è ingiustificabile e incomprensibile), e poi i giovani. Su questi temi vanno fatte scelte collettive, altrimenti è il Far West, dove chi ha più soldi li spende, chi può inquinare di più inquina. Ora l’opportunità è diventata un fastidio, queste riforme non le vogliono fare, vogliono fare altri investimenti. Ma è normale, i soldi li hanno dati all’Italia non a Giorgia Meloni. Se l’Italia cambia sei governi in sei anni, sono quei sei governi lì che devono fare il piano». Leonardi insiste anche sull’importanza di un piano pluriennale: «Come avviene per ogni famiglia e impresa, il rientro dei conti pubblici se non lo fai pluriennale non lo fai». Al rapido susseguirsi dei governi, si aggiungono nuove difficoltà congiunturali: «È venuto a mancare l’equilibrio tra Europa, Usa e Cina. La competizione è feroce e noi siamo meno dell’1% della popolazione mondiale e dobbiamo darci una mossa. Il piano, per quanto migliorabile, merita di essere fatto. In caso contrario, teniamo presente che siamo un nano in un mondo di giganti».