«Il rischio più sottovalutato dalle imprese italiane? Non avere un valido risk manager o un professionista esterno dedicato»: a chiusura del congresso dell’Anra (Associazione dei risk and insurance manager, 849 membri, guidata da Carlo Cosimi), Gariella Fraire, vicepresidente, fa il punto con Family business forum sul futuro della categoria e sulle nuvole e le opportunità che si vedono all’orizzonte delle imprese: climate change, cibersecurity, intelligenza artificiale e non solo. Non a caso il congresso di Milano è stato dedicato all’ambiente e ai mille volti della sostenibilità, «con un’attenzione particolare alla crescente rilevanza dei criteri Esg (Environmental, social and governance) nella definizione delle strategie di business: dalla compliance all’etica, passando per puntuali analisi di rischi di natura climatica e ambientale e gli strumenti necessari per affrontarli in modo da tutelare la continuità operativa», spiegano gli organizzatori che si rivedranno in aprile per la nomina dei vertici. Fraire (risk manager del gruppo Prysmian) entra nel dettaglio e commenta la nuova sensibilità del governo per la protezione obbligatoria delle aziende dagli eventi naturali.
Gender diversity, grandi passi avanti
Se ne parla spesso, sempre di più, ma il tema della gender diversity in azienda come viene percepito nel management? E dalla discussione si sta passando al cambiamento dei comportamenti? Per rispondere, l’Anra, l’associazione dei risk manager e dei responsabili delle assicurazioni aziendali, ha realizzato un sondaggio tra gli aderenti (circa 850) ottenendo 119 rispondenti alle 34 domande a scelta multipla. Con un interessante punto di partenza: un analogo sondaggio effettuato negli stessi termini nel 2017. E dal confronto emergono importanti cambiamenti. Intanto, la presenza femminile tra i risk manager e gli insurance manager è passata dal 37 al 44%. E poi un terzo delle aziende coinvolte nel panel ha designato una figura delegata alla promozione di iniziative di diversity & inclusion, il doppio di sei anni fa, un grande passo in avanti anche se la strada sembra ancora lunga in ambiente sempre più favorevole: cresce, infatti, significativamente il superamento dei pregiudizi sulla diversità di genere (ne è convinto il 60% dei rispondenti) e «un clima aziendale in cui ci si sente a proprio agio con le donne in posizioni manageriali» ( sempre il 60%). Ma si può fare di più. «Non è trascurabile il fatto che il 20% dei rispondenti dichiari ancora l’esistenza di pregiudizi rispetto alla presenza di donne in posizioni manageriali», rilevano i promotori del sondaggio. «Un’analisi puntuale di questi risultati evidenzia come sia proprio il 35% delle rispondenti donne a riscontrare questo aspetto nelle diverse realtà aziendali indipendentemente dalla dimensione».
Quanto al gender pay gap, «i risultati dell’indagine a prima vista mostrano un’equa distribuzione tra chi sostiene che sia un tema attuale (40%) e chi invece lo ritiene superato (sempre 40%)», rilevano gli organizzatori. «Tuttavia, una analisi approfondita mostra come i due opposti punti di vista emergano da generi diversi: l’80% dei rispondenti che ritiene il tema superato è uomo, contrariamente ai rispondenti che ritengono il tema persistente, che sono per l’80% donna».
Un tratto comune è che la sensibilità per la diversità di genere e di età (con un aspetto molto importante emerso nell’indagine ma poco indagato in generale nel mondo delle imprese) rappresenta un valore aggiunto per la produttività e l’efficienza del team di lavoro. In conclusione, un ambiente di lavoro equo e inclusivo sta diventando una priorità inconfutabile in aziende di ogni dimensione, anche in seguito all’introduzione di normative nazionali che supportano l’eliminazione delle differenze di trattamento tra generi e l’obiettivo di ottenere la certificazione della parità di genere (legge Gribuado).
(E.T.)