di Elena Fausta Gadeschi
Era il 1999 quando il filosofo Zygmunt Bauman teorizzò per la prima volta il concetto di modernità liquida, segnata dal dominio di una società conformista e consumista, eredità dei disimpegnati anni ’80. A distanza di quasi 25 anni, l’avvento dei social ha rivoluzionato i rapporti personali, che oggi si giocano sul campo dell’approvazione immediata, del like appagante, del seguito raccolto sulla base di un consenso volatile. È la spiazzante rivoluzione della modernità gassosa, la nuova condizione della società teorizzata dal sociologo Francesco Morace nel nuovo libro Modernità gassosa. Istruzioni di volo contro la sindrome del pallone gonfiato (Egea, 129 pagine, 16,50 euro), dove il consumo di beni è stato soppiantato dal consumo della nostra immagine e della nostra esistenza, esponendoci al rischio di «un’immediatezza dei sentimenti e di un dilemma del desiderio». «Viviamo in una condizione di perenne sollecitazione, dove l’attesa si tramuta in ansia permanente, mentre qualsiasi stimolo ci eccita» spiega lo studioso, che descrive le insidie di un mondo dominato dall’ultra-libertà del pensiero, dell’informazione, delle relazioni e degli spazi di lavoro che sconfina nel capriccio e molteplici potenzialità e sfide. «Mentre si amplia la gamma dell’offerta, cresce la difficoltà della scelta», spiega l’autore, che descrive una società sempre più instabile, leggera, appunto gassosa, dominata da un’informazione volatile, dove evaporano le competenze, accresce il sensazionalismo e «l’irrilevanza travolge tutto, parole e immagini».
«Un tempo si diceva “navigo in Internet” perché si passava da un’isola di conoscenza all’altra, ora invece siamo noi che ci esponiamo allo sguardo degli altri». In questa forma di «narcisismo di massa», dove non riusciamo più a tendere in modo sano e felice verso i nostri obiettivi, pretendere è diventata la parola chiave. È così che si sviluppa quella che Morace inquadra come la «sindrome del pallone gonfiato» , la scorciatoia irresistibile di chi desidera emergere senza particolari meriti se non cavalcando trend e mode, «proprio come una mongolfiera che prende il volo non per propria capacità, ma perché dentro ha un flusso d’aria che la porta su».
Nel suo saggio Morace descrive i limiti di questa modernità gassosa, ma individua per ciascuno anche possibili soluzioni, attingendo all’immaginario letterario, da Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry a Lezioni americane di Italo Calvino. Per affrontare la condizione aleatoria contemporanea, dove il rischio dell’evanescenza e dell’inconsistenza è sempre presente, l’invito non è quello di dileguarsi, ma di alleggerirsi e imparare a prendere il volo come i deltaplani. I giovani riusciranno a farlo se affiancati da mentori, maestri e facilitatori, che li aiuteranno a sviluppare competenze e abilità di carattere. «È la vera sfida del futuro: un’educazione digitale equilibrata e un ingaggio delle generazioni più giovani che devono essere coinvolte in progetti e attività, evitando paternalismi che creano frustrazione e moltiplicano il desiderio».
Prendendo ispirazione dal mondo della natura, l’invito è quello di «sollevarsi e attivarsi» come gli insetti o gli uccelli in volo, infaticabili trasformatori di risorse. Una dote che i ragazzi sembrano avere già interiorizzato, come dimostra l’esplosione dei nuovi movimenti di protesta, dal MeToo al Fridays for Future, dal Black Lives Matter all’attivismo contro la violenza di genere. Secondo l’autore, la soluzione si trova proprio nella «leadership distribuita degli stormi in volo: non una sola creatura volante, ma un insieme di uccelli che si difende dal falco pellegrino o dal cacciatore alzandosi in volo insieme e componendo splendide figure». Per volare servirà una mappa, che Morace disegna entro tre punti cardinali. Eccoli: «Capire qual è la propria passione, che non è felicità svagata, ma un riconoscimento del proprio talento; rivolgere lo sguardo verso gli altri, imparando a stare in un team e condividere idee forti (in questo l’alleanza intergenerazionale è fondamentale) e seguire la bellezza, che deve diventare una leva per attivare le altre componenti dentro di noi, mettendo in campo la migliore immagine di se stessi. Lo facciamo con i social, dove postiamo sempre le cose più belle. Facciamolo anche nella vita».