di Maddalena Cecci*
La folta presenza di imprese con radici familiari rende l’Italia un Paese in cui il tema del passaggio generazionale assume un ruolo di grande rilievo, sia per la sopravvivenza delle imprese stesse sia per la tenuta del tessuto economico nazionale.
La centralità di questo tema è stata colta anche dal legislatore tributario, il quale, nel 2006, ha introdotto l’articolo 3, comma 4-ter, nel Testo Unico sulle Successioni e Donazioni, riconoscendo l’esenzione dal versamento di tale imposta per trasferimenti di aziende, rami aziendali, quote e azioni realizzati, per atto tra vivi o mediante testamento, in favore del coniuge o dei discendenti. L’obiettivo di tale scelta legislativa è chiaramente quello di rendere meno oneroso il passaggio di proprietà e incentivare la prosecuzione delle attività economiche in ambito familiare.
Fino dalla sua introduzione, la disposizione in esame ha dovuto, però, fare i conti con dubbi interpretativi rispetto alle condizioni richieste per l’applicazione del regime di favore ai trasferimenti di partecipazioni, per i quali, nella formulazione ante riforma del 2024, era previsto esclusivamente che le partecipazioni trasferite garantissero l’acquisizione o l’integrazione del controllo ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1), c.c. e questo venisse mantenuto per un periodo non inferiore a cinque anni.
I numerosi dibattiti sorti a riguardo sono sfociati nel rigetto dell’interpretazione letterale sia da parte dell’Amministrazione Finanziaria sia della Corte di Cassazione, le quali, per contro, sembrano aver sposato la tesi cosiddetta «teleologica». Secondo tale chiave di lettura, che attinge dalla ratio della norma, il riconoscimento del trattamento agevolato spetta solo a condizione che la società le cui quote sono trasferite eserciti effettivamente attività di impresa, con conseguente esclusione dei trasferimenti di quote di holding o di società “statiche” che gestiscono semplicemente un patrimonio familiare in quanto inidonee a produrre valore economico e occupazione e, quindi, non meritevoli di vantaggi fiscali.
Questa lettura restrittiva ha, tuttavia, sollevato diverse critiche da parte della dottrina e del mondo professionale e, pertanto, nell’ambito della recente riforma del 2024, il legislatore ha deciso di intervenire sul dato normativo introducendo una più chiara individuazione delle diverse ipotesi che si intendono agevolare nonché delle condizioni richieste per l’accesso all’esenzione in ciascuna di esse.
In particolare, mentre nel caso del trasferimento di azienda la norma continua a richiedere la prosecuzione dell’attività per almeno cinque anni, per l’esenzione del trasferimento di partecipazioni non vi è alcun riferimento all’operatività dell’impresa con esclusiva richiesta, per le quote e le azioni di società di capitali, che il controllo che le stesse conferiscono sia mantenuto per almeno cinque anni e, per le altre partecipazioni, che esse siano detenute per lo stesso periodo minimo di cinque anni.
Con ogni probabilità, la scelta di individuare nettamente le fattispecie interessate dal regime agevolato e di predisporre un dettato normativo che stabilisce le condizioni al ricorrere delle quali, per ciascuna di esse, è possibile fruire dell’esenzione rappresenta un evidente tentativo di chiarimento. Tuttavia, gli esperti non hanno mancato di osservare che tale intervento avrebbe potuto (e dovuto) essere più incisivo, sottolineando che né il testo normativo né i lavori preparatori sembrano effettivamente aver eliminato i dubbi circa l’accesso all’esenzione per i casi di trasferimento di partecipazioni di società holding o di mera detenzione del patrimonio.
In buona sostanza, sembra che si sia persa l’occasione per restituire ai contribuenti e agli operatori del settore un quadro normativo più stabile e trasparente e favorire una pianificazione efficace del futuro delle imprese familiari italiane.
*Maddalena Cecci è Associate Foglia & Partners