di Maria Elena Viggiano
«Noi imprenditori giovani siamo la fabbrica del domani e siamo qui per alimentarla e fare la differenza». Alice Pretto, presidente Giovani imprenditori di Confindustria Veneto Est, usa queste parole alla prima assemblea pubblica del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Veneto Est. E la differenza è anche nella sede scelta per l’assemblea, lo stabilimento della Dal Ben, a San Stino di Livenza: azienda che produce macchinari complessi ad alta tecnologia e fortemente impegnata nelle politiche per il benessere delle persone.
«ESSERE – fabbrica del domani», questo il titolo dell’incontro. Un luogo che, come sottolineato da Pretto, «la narrativa ha distrutto da più parti ma merita di essere raccontata per quello che oggi è un luogo di suoni, profumi, colori e soprattutto persone». Bisogna infatti ricordarsi che «la fabbrica è stata nel passato il primo luogo di aggregazione dell’epoca moderna dove riscatto, saper fare e socialità si sono incontrate. Marzotto, Olivetti, Del Vecchio, Rossi hanno reso la fabbrica un luogo di comunità». È necessario dunque riabilitare questo spazio e il ruolo di chi ci lavora. Una parola, dice la presidente dei Giovani di Confindustria Veneto Est, che significa fare e anche creare. Parla di quello che chiedono i giovani e di come i giovani imprenditori possono, insieme ai senior se lo vogliono, accelerare quel cambiamento che nella società è troppo lento «ma nelle nostre fabbriche sta già accadendo». Ricorda come il 93% delle persone non sia felice al lavoro e di come i giovani siano alla ricerca di altro. Lo sono anche i giovani imprenditori. «Non siamo più disposti – dice al sacrificio di non veder crescere i nostri figli, perché vogliamo esserci per dare l’esempio».
Leopoldo Destro, presidente Confindustria Veneto Est, parte da una citazione di Adriano Olivetti del 1960 in cui diceva che «la fabbrica non può guardare solo all’indice di profitti, deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Penso alla fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica». Le competenze e le tecnologie sicuramente cambieranno ma l’uomo rimarrà sempre al centro per questo «la fabbrica del futuro dovrà avere sicuramente al centro l’uomo, le relazioni con l’uomo, la crescita con l’uomo». Ma la fabbrica significa anche il rapporto con il territorio per permettere una crescita collettiva.
Ma cosa sta succedendo nel mercato del lavoro? Per Daniele Marini, professore di Sociologia dei processi economici all’Università di Padova, «il problema della disoccupazione non è nuovo ma è nuovo il contesto. Si tratta di di-visioni di carattere strutturale, riguardanti politiche di lungo periodo e di di-visioni ovvero una diversa visione dal punto di vista culturale». Le nuove generazioni pensano infatti che gli aspetti importanti sul posto di lavoro siano «la sicurezza del posto di lavoro, la buona reputazione dell’impresa, l’atmosfera di lavoro piacevole».
La centralità del lavoro non è più assoluta. Per Claudio Marenzi, presidente di Herno, «la fabbrica era considerata un posto di dolore e di fatica ma ora c’è un ritorno nel mondo della moda. Un rientro alla fabbrica, alla dignità del lavoro artigianale con un’idea quasi romantica». Per Lorenzo Delladio presidente e amministratore delegato de La Sportiva, «facciamo industria a mille metri di quota, fare industria lì è difficile soprattutto per attrarre talenti, quindi oggi il problema principale è essere sempre più attrattivi e poi trovare il sistema per trattenerli».
Per Marina Puricelli, Lecturer del dipartimento di Management e Tecnologia presso l’Università Bocconi, «azienda e fabbrica sono la stessa cosa, non posso pensare a una divisione nelle realtà italiane». E come deve essere la fabbrica del domani? «Quattro le caratteristiche fondamentali – risponde Puricelli -. La prima: una fabbrica guidata da imprenditore o imprenditrice con il fattore X, non necessariamente laureato, temerario sì ma il giusto. Punto due: una fabbrica guidata e di proprietà di una famiglia. Sogno un capitalismo familiare non chiuso. Se la crescita dell’azienda è talmente impetuosa da necessitare di un supporto della finanza, da uomini di fabbrica considerate la finanza sempre e solo un mezzo. Al terzo punto penso a una provincia italiana piena di fabbriche e capannoni in luoghi ben curati e facili da raggiungere. E, infine, all’interno delle fabbriche ci sono persone. Insomma, aziende dove le procedure e i protocolli da grande impresa non superino le persone, persone con le loro storie».