di Maria Silvia Sacchi
Si è parlato molto in questi giorni della possibile quotazione di Puig, gruppo spagnolo della cosmetica guidato da Marc Puig (nella foto). Terza generazione della famiglia fondatrice, Marc Puig ha confermato che una quotazione è possibile (gli analisti ne stimano il valore tra gli 8 e i 10 miliardi) ma ciò che è interessante sono le motivazioni che ha portato. Motivazioni che non sono nuove per le aziende familiari, ma che spingono comunque a riflettere perché, a un certo punto, questo tipo di imprese si trova di fronte a svolte che sono comuni, indipendentemente da dimensioni, settori di appartenenza e altro.
Parlando con il Financial Times, Puig ha per prima cosa sostenuto che i casi di altri gruppi come Lvmh, Prada o Hermes hanno dimostrato che il mantenimento del successo dipende dal fatto che le famiglie fondatrici mantengano il controllo. Ma, allo stesso tempo, le imprese a conduzione familiare si trovano ad affrontare “trappole” che investitori esterni e un controllo esterno possono aiutare a evitare. Secondo Puig (che ha trasformato il gruppo attraverso una serie di acquisizioni e che prevede di raggiungere quest’anno i 4 miliardi di fatturato, in anticipo sui piani) possono, infatti, «sorgere difficoltà, soprattutto nel passaggio tra generazioni, la ricerca di leadership, la mancanza di comprensione, la perdita di passione». Momenti, come tutte le ricerche sul family business dimostrano, che sono molto delicati da affrontare. Ecco perché avere qualcuno di esterno può essere di aiuto. «Il dovere di rendere conto al mercato comporta una disciplina e un rigore che garantiscono che tali problemi non sorgano», ha spiegato Puig, rimarcando che «a volte le aziende familiari possono perdere la loro posizione sul mercato. Possono iniziare a morire lentamente e nessuno all’interno dell’azienda ne è consapevole. Se sei responsabile nei confronti degli investitori queste cose possono essere notate».
Se sarà quotazione o piuttosto l’ingresso di un socio finanziario come un private equity non è ancora deciso, né sono decisi i tempi. Ma la riflessione è iniziata.
L’apertura al mercato, oltre a dare alle aziende una disciplina e un supporto di persone non coinvolte emotivamente in dinamiche familiari, consente anche la possibilità di liquidare le proprie quote per chi non desidera più essere parte dell’azienda, magari perché non ricopre ruoli operativi o perché ha partecipazioni piccole ed è dunque meno interessato a rimanere. Un tema che emerge soprattutto con l’allargarsi del numero degli azionisti familiari, con un conseguente frazionamento dei pacchetti posseduti. Proprio a questo aveva fatto riferimento, per esempio, Ferruccio Ferragamo, all’epoca presidente operativo del gruppo fiorentino, annunciando la quotazione della Salvatore Ferragamo: ci quotiamo per «non fare prigionieri», disse. Ovvero, per lasciare libera ciascuna persona della famiglia di restare o lasciare. Un modo per preservare l’armonia.