Da Sabrina Carpenter a Paige Bueckers, da Charles Leclerc a Yara Shahidi fino a Avi Schiffmann, Bukayo Saka, Caleb McLaughlin e Storm Reid: le stelle dello spettacolo e dello sport di nuova generazione ridefiniscono la filantropia moderna su X, su Facebook e su LinkedIn. Con un effetto di contagio e emulazione sui loro fan e forse non solo. Con dati sorprendenti: il 31% della generazione Z è donatore regolare contro una media generale del 27% (studio dell’inglese Enthuse) e negli Stati Uniti il laboratorio di ricerca del Blackbaud Institute stima che il 59% della generazione Z già dona in qualche modo in beneficenza. «Insieme stanno ridefinendo la filantropia come atto quotidiano, permeando la loro vita pubblica, privata e professionale», riporta il Financial Times che ha dedicato al tema una inchiesta. «La generazione Z è cresciuta con un cocktail di panico climatico, attivismo su Internet e celebrità virali. Sarà anche uno dei destinatari di quello che i consulenti finanziari chiamano “il Grande trasferimento di ricchezza”, che vedrà i boomer in pensione trasferire trilioni di asset nei prossimi 20 anni». Con questa eredità, «i più giovani sono desiderosi di donare anticipando i tempi rispetto alle generazioni precedenti», ha dichiarato al quotidiano inglese John Canady, ceo del National philanthropic trust UK.
Qualsiasi piattaforma culturale davvero rilevante per la Gen Z ora ha una componente di beneficenza. Molti benefattori si stanno rivolgendo all’impact investing, un strategia che crea un impatto sociale o ambientale positivo e genera ritorni finanziari nel processo. Il 73% degli investitori della generazione Z e dei Millennial richiede criteri ambientali, sociali e di governance (Esg) dai propri portafogli di investimento. «La logica è: daremo via questi soldi per fare del bene, quindi perché non metterli in investimenti che stanno anch’essi facendo del bene?», ha detto ancora Canady. La generazione precedente guadagnava soldi da una parte e li regalava dall’altra. I donatori più giovani collegano i due aspetti. Arrivando anche a cambiare il linguaggio e le definizioni: un sondaggio condotto da Foundation Source ha rilevato che la maggior parte dei giovani preferisce i termini “donatore”, “sostenitore” o “creatore del cambiamento” a “filantropo”. Allo stesso modo, giovani celebrità e imprenditori stanno incorporando questo spirito nelle loro iniziative professionali. Con la crescente domanda di credenziali Esg (secondo la piattaforma di vendita al dettaglio First Insight, il 62 % degli acquirenti della generazione Z preferisce acquistare da marchi sostenibili), la filantropia diventa uno strumento di marketing tanto quanto una forza per il cambiamento, secondo Lucie Greene, fondatrice di Light Years, società di consulenza sui trend. Per molti questo impulso filantropico è intuitivo: Greene cita come esempio Rare Beauty, il marchio di cosmetici “vegano e cruelty-free” fondato dalla cantante Selena Gomez, che destina l’1% delle vendite verso il miglioramento dell’accesso ai servizi di salute mentale. I musicisti, nel frattempo, stanno bypassando i concerti di beneficenza a favore di tour mirati. Ispirata alla rock band canadese Arcade Fire, che dal 2005 ha donato in beneficenza un dollaro per ogni biglietto venduto, l’organizzazione no-profit Plus1 aiuta artisti come Sabrina Carpenter e Chappell Roan a indirizzare fondi verso organizzazioni per i diritti LGBTQ+, il benessere degli animali e la salute mentale. Billie Eilish e Harry Styles, per fare un altro esempio, lavorano con Reverb per ridurre l’impronta di carbonio dei loro spettacoli. Ed è solo l’inizio.
Nella foto, un concerto di Sabrina Carpenter nel tour 2024