di Giuliano Foglia*
La pianificazione del passaggio generazionale rappresenta un tema di primaria importanza per il nostro Paese, contraddistinto dalla significativa presenza di imprese o gruppi di imprese facenti capo a una famiglia o a singole persone fisiche.
Tra gli strumenti adottati dalla legislazione fiscale per favorire e incentivare il passaggio generazionale delle imprese spicca la disposizione dell’art. 3, comma 4-ter, del Testo Unico sull’Imposta sulle Successioni e Donazioni, la quale prevede l’esenzione dal pagamento dell’imposta per i trasferimenti di “aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni” a favore del coniuge o dei discendenti, al fine di agevolare e rendere meno gravoso possibile sul piano fiscale il passaggio di proprietà in ambito familiare.
Accanto ai limiti di natura soggettiva, la versione attuale della norma (prossima a subire importanti modifiche per effetto degli interventi attuativi della Riforma Fiscale in corso di approvazione) presenta anche un perimetro di applicazione oggettivo specifico che richiede la presenza di alcune condizioni di riferimento.
In particolare, si potrebbe affermare che la norma ritenga meritevole di tutela il passaggio generazionale di un’azienda o di partecipazioni, a seconda che:
• in relazione al trasferimento di un’azienda, i discendenti si impegnino a condurre l’esercizio dell’attività di impresa o ne detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni;
• con riferimento al trasferimento di quote sociali e azioni di società di capitali, si tratti di partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’art. 2359, primo comma, n. 1), c.c., e il controllo “integrato” o “acquisito” venga mantenuto per un periodo non inferiore a cinque anni.
Nonostante alcune precedenti prese di posizione da parte dell’Amministrazione finanziaria, un acceso dibattito circa l’interpretazione della norma in esame è sorto solo a seguito dell’esame condotto dalla Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 6082 del 28 febbraio 2023 ha sconfessato la ricostruzione aderente al dato testuale della norma, ritenendo, in relazione ai trasferimenti di partecipazioni, che il trattamento agevolato spettasse solo a condizione che la società le cui quote sono trasferite eserciti effettivamente attività di impresa.
Il ragionamento promosso dalla Corte si fonda sull’analisi finalistica della norma, la quale sarebbe stata introdotta allo scopo di agevolare (da un punto di vista fiscale) i trasferimenti di azienda e non quelli relativi a singole quote di gestione di una società immobiliare, in quanto l’esenzione mirerebbe a tutelare esclusivamente la prosecuzione dell’attività commerciale, evitando che, nel momento del passaggio generazionale, il carico fiscale possa mettere a rischio la capacità della struttura di sopravvivere sul mercato.
In definitiva, il principio desumibile dalla (prima e unica) sentenza della Suprema Corte sull’ambito di applicazione dell’esenzione è, quindi, quello che l’esenzione si applichi laddove le partecipazioni trasferite afferiscano a una società che svolge un’effettiva e operativa attività economico-aziendale, non applicandosi, invece, per i trasferimenti di partecipazioni in società non operative e caratterizzate da una gestione statica, come nel caso delle holding.
Il principio è stato recentemente fatto proprio anche dalla Corte di Giustizia tributaria di II grado del Piemonte (sentenza n. 445/2/2023), che ha disconosciuto l’applicazione dell’esenzione nell’ambito di un passaggio di quote di una società semplice, sostenendo che detta società non risultava esercitare più alcuna attività (come emerso da alcuni elementi fattuali).
Se questa è la chiave di lettura offerta dalla giurisprudenza, guardando agli accennati precedenti dell’Amministrazione finanziaria vale la pena osservare che, dopo una prima presa di posizione a favore di un’interpretazione in linea con il dato letterale della norma, anch’essa è sembrata orientarsi verso l’interpretazione della Cassazione, giungendo a sostenere che l’agevolazione non spetti se, nel caso di trasferimento di quote, manchi una struttura effettiva e operativa e, quindi, laddove siano trasferite, ad esempio, quote di holding di partecipazioni, che fungerebbero da cassaforte di famiglia e non costituirebbero un patrimonio produttivo da tutelare.
L’interpretazione giurisprudenziale ha generato un dibattito sulla sua eventuale legittimità, a fronte di una disposizione che (come peraltro indirettamente ammesso anche dalla Corte Costituzionale su un altro profilo della stessa norma) presenta un dato normativo chiaro.
Facendo applicazione dei principi che regolano l’interpretazione delle leggi, si potrebbe sostenere che, se è vero che il ricorso al criterio di interpretazione che fa leva sulla ratio della norma debba essere preso in considerazione unitamente al criterio letterale, è tutt’altro che ovvio che il primo debba prevalere se il testo della norma sia sufficientemente chiaro da non generare alcun dubbio circa la sua formulazione.
In altri termini, pur potendo discutere se l’ambito di applicazione della norma così come ora formulata possa essere eccessivamente esteso, non è ragionevole pensare di restringerlo, andando oltre il dettato normativo, ledendo la posizione dei contribuenti che hanno legittimamente fatto affidamento su un chiaro dettato normativo, trovandosi eventualmente a dover contrastare interpretazioni difformi da parte degli Uffici o dei Giudici.
A ben vedere, i dubbi sul punto potrebbero presto essere superati, in senso favorevole al contribuente, dalla bozza della nuova formulazione dell’art. 3, comma 4-ter, del Testo Unico, che dovrebbe entrare in vigore con l’approvazione definitiva del decreto delegato di riforma della disciplina dell’imposta di successione e donazione.
La disposizione, come modificata, dovrebbe infatti prevedere espressamente presupposti per l’applicazione dell’esenzione diversi a seconda che il trasferimento riguardi un’azienda ovvero partecipazioni sociali. Solo con riferimento al primo caso, la nuova norma, in continuità con l’attuale testo, richiederebbe la prosecuzione per almeno 5 anni dell’esercizio dell’attività di impresa, sottintendendo, quindi, che oggetto del trasferimento sia un’entità che svolge attività di impresa; mentre, per il trasferimento di partecipazioni, la nuova disposizione richiederebbe, distinguendo chiaramente tale casistica da quella precedente, la sola effettiva detenzione delle stesse (ovvero il mantenimento del controllo) per un periodo di almeno 5 anni.
Se il testo definitivo non subirà variazioni, l’interpretazione proposta dalla giurisprudenza potrebbe quindi dirsi superata, a beneficio della certezza del diritto e del legittimo affidamento dei contribuenti, che potranno quindi pianificare con maggiore sicurezza il passaggio generazionale.
*Managing Partner di Foglia & Partners